Altro che paradiso per animali, allo Zoo di Napoli c’è degrado

Creato il 20 marzo 2015 da Vesuviolive

Gabbia della tigre, Zoo di Napoli

Lo Zoo di Napoli, nato nel 1940, da più di trent’anni è una spina nel fianco, economica e morale, per la città. Dal 1980, infatti, la struttura si è dimostrata incapace di stare al passo con i tempi rimanendo in una situazione di degrado a scapito degli animali reclusi, incolpevolmente, al suo interno. Nel 2003 le condizioni terribili di alcune aree portarono al fallimento del giardino zoologico. A rilevarlo fu poi la OSAI s.p.a., proprietaria già del parco giochi, adiacente, “Edenlandia”.

Anche dopo l’arrivo della nuova gestione la situazione rimase invariata, al punto che l’ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) mosse, nel 2011, una petizione al sindaco de Magistris per far chiudere definitivamente lo zoo, definendolo “un fallimento economico, morale, scientifico”. L’istanza fu appoggiata da molte celebrità come Licia Colò, Marco Berrì e i 99 Posse e, effettivamente, il parco fu nuovamente chiuso.

Gabbia arrugginita, Zoo di Napoli

La struttura, però, ha riaperto i battenti lo scorso anno, acquistata da un imprenditore privato, con la promessa di un rimodernamento di gabbie e ambienti al fine di adeguare il nuovo giardino zoologico agli standard fissati dalle direttive europee e recepiti in italia col D.Lgs. n. 73\2005. Tuttavia, foto e testimonianze delle persone che hanno visitato la “nuova” struttura, dimostrano come di nuovo ci sia ben poco.

Zona della “Piccola Fattoria”, Zoo di Napoli

Le innovazioni principali riguardano un’area per bambini con animali da fattoria, la “piccola fattoria”, e alcune specie nuove come i lemuri. La maggior parte di ambienti e gabbie, però, risulta invariata e identica a trent’anni fa, con l’aggiunta di ruggine e altri segni di deterioramento. Gli spazi in cui vivono molte specie sono troppo piccoli e sicuramente inadeguati dal momento che il Regolamento per i giardini zoologici del 2005 impone che “gli animali devono essere ospitati in recinti o vasche che, sia dal punto di vista dello spazio che dell’arricchimento ambientale, consentano adeguato movimento ed esercizio fisico, come richiesto per il benessere della specie di appartenenza.” Eppure è possibile notare come una maestosa tigre viva in pochissimi metri quadrati, per giunta sporchi e pavimentati, in cui le è impossibile “sentirsi a casa”.

Gabbia della tigre, Zoo di Napoli

Secondo la legge “La temperatura, la ventilazione e la luce dei recinti devono essere idonei al comfort ed al benessere di ogni animale di ogni singola specie in qualsiasi momento della sua vita.” E invece notiamo come i leoni ospitati nel parco vivano tutti ammassati su un’enorme struttura di cemento e mattoni, ben lungi da una savana piena d’erba e vento.

Ambiente dei leoni, Zoo di Napoli

Va, poi, presa in considerazione l’impressione di degrado e abbandono che trasmettono la maggior parte delle altre zone al punto che, quello che dovrebbe essere un romantico laghetto coi cigni, sembra una fogna a cielo aperto.

Laghetto dei cigni, Zoo di Napoli

I giardini zoologici sono, inoltre, consentiti solo se possono contribuire alla ricerca scientifica e alla crescita e proliferazione delle specie ospitate, ma in un ambiente del genere risulta impossibile pensare a una vera utilità scientifica e a una crescita delle sole e spaventate creature prigioniere di sbarre di ferro arrugginite.

Insomma, in un mondo che si sensibilizza sempre di più nei confronti del benessere degli animali, lo Zoo di Napoli sembra il baluardo nostalgico di un tempo in cui tigri e leoni venivano frustati a sangue per saltare in un cerchio di fuoco e strappare risate e stupore al pubblico pagante.


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