Chissà che cosa sarebbe successo se, alle 7:15 di trentasei anni fa, a New York, nessuno avesse guardato in su. Voglio dire, non è del tutto normale che tu ti fai strada per i marciapiedi della Grande Mela, come un bruco assonnato, gli occhi ancora appiccicati dalla sveglia estiva, la bocca che sa di caffè americano (troppo dolce), o di succo d'arancia (troppo annacquato), un gomito che pizzica per una puntura di zanzara, e ti viene da alzare gli occhi al cielo. Normalmente guarderesti di fronte a te, in una specie di coma vigile, al semaforo, aspettando il segnale [WALK]. Insomma, te ne fregherebbe qualcosa di ciò che accade lassù?
Ma questo il 7 agosto 1974 non è accaduto. Perché senza dubbio ci sarà stato qualcuno, il primo, a un certo punto, che per una qualsiasi ragione guardò in su, strabuzzò gli occhi cercando di mettere a fuoco, e si chiese: "Ma che diavolo...". A quel punto aveva già smesso di camminare, mentre tutti gli altri lo circondavano, lo superavano, magari anche lo spingevano, nella ferrea logica formicolante degli affari incombenti. Nel frattempo lui ormai doveva aver capito che il puntino nero, lassù, a 400 metri e rotti di altezza, si muoveva. Troppo piano per essere un uccello. Troppo fermo per essere un
UFO. Troppo presto per essere un aereo dirottato. Troppo scuro per essere Superman. Era forse il residuo di un sogno dimenticato o magari la premonizione di uno che avrebbe fatto? Probabilmente batté le palpebre qualche volta, per vedere se si trattava di uno scherzo dell'immaginazione, di un innocuo bruscolino, o di un accidente retinico. Ma no. Quel maledetto puntino era ancora lassù. E in quel momento ormai lui non sarà stato più solo. Tutti quanti a guardare in su, come in un cinema sbagliato.
Perché a un certo momento, non c'è dubbio che sarà partito un urlo. C'è sempre qualcuno che urla in questi casi. Forte. A cercare (invano) di sovrastare il traffico. Non si sa bene chi fu il responsabile. Però non c'è dubbio che qualcuno tese un braccio, puntò l'indice parallelamente al naso e col cuore in gola gridò: «Lassù, guardate. Lassù!» Ai piedi del World Trade Center, una piccola folla ferma a fare una cosa che di mattina presto non s'è mai vista prima.
'Fanculo se arriverò tardi al lavoro, questa non me la voglio perdere per niente al mondo! A questo punto nel bel mezzo di una delle metropoli più grandi del pianeta, tra le automobili dell'NYPD che accorrono sul posto per accertarsi di quello che sta succedendo, e probabilmente anche qualche inutile ambulanza, è impossibile pensare che non sia spuntato qualche binocolo, sopra le bocche aperte, mani a coprire esclamazioni rimaste disdicevolmente incastrate insieme al respiro.
C'è un uomo, lassù. In bilico. Sta facendo una cosa pazzesca. Nel vuoto. In cima tra le due Torri. Su un filo sottile sottile, che quasi non si vede. È vestito di nero. Ma non è mica Batman, che senza gadget quello non combina un tubo! Quell'uomo invece non ha niente. Nessuna rete. Nessun aggancio di sicurezza. Nessun Piano B. Non ha nemmeno il permesso di stare lì, se è per questo, per lo meno a giudicare dalle facce lampeggianti dei poliziotti che si assembrano quaggiù, sempre più concitate. Solo un lungo bilanciere nelle mani, che oscilla lento a stabilizzare il baricentro. E poi gli uccelli. Il vento. E il cielo. E i sogni di chi compie un gesto pericolosissimo e inutile, ma proprio per questo incredibile e perfettamente bello.
Lui si chiama Philippe Petit ed è un funambolo, anzi "il" funambolo. E se non avete mai sentito parlare di lui, ma la sua storia vi incuriosisce, vi suggerisco di recuperare
Man On Wire, il film-documentario di James Marsh, Premio Oscar 2009 (scandalosamente ignorato dalla distribuzione italiana, ma disponibile in DVD) sulla sua impresa delle Torri Gemelle, e di leggervi il suo
Trattato di funambolismo, un breve libro, sospeso come lo stesso Petit, tra l'ingegneria della tensione (dei fili), la tecnica e la disciplina (dell'equilibrio) e la poesia e la perfetta inutilità (di un autentico gesto artistico). Se nessuno avesse alzato gli occhi, quella mattina di trentasei anni fa, per Philippe Petit non sarebbe cambiato proprio niente, tranne la conquista del paradiso.
La citazione:
Uomo dell'aria, tu colora col sangue le ore del tuo sontuoso passaggio tra noi. I limiti esistono soltanto nell'anima di chi è a corto di sogni.
Trattato di funambolismo, di Philippe Petit (Ponte alle Grazie)
[Credit: La prima foto in alto è (c) di mezzoblue, le altre sono tratte dal film Man On Wire]