Domenica scorsa si è conclusa, su Rai Uno, la serie di repliche pomeridiane delle cinque puntate di "Il caso Sanremo - Ex Aspettando Sanremo", squinternato viaggio attraverso quasi quarant'anni di Festival della canzone andato in onda per la prima volta fra gennaio e febbraio 1990, il sabato sera, a mo' di antipasto della rassegna canora vera e propria, quella che, unica volta nella storia, si svolse nel mai troppo rimpianto Palafiori di Arma di Taggia e venne vinta dai Pooh. Val la pena parlarne, del bizzarro show griffato Renzo Arbore - Lino Banfi, innanzitutto per... rendergli giustizia in differita. Già, perché questo gioiellino televisivo, nato quando ancora la Tv italiana sapeva produrre idee non banali e metterle brillantemente in pratica, ha avuto una storia molto strana, direi accidentata: sbocciato fra non poche difficoltà, di cui parleremo tra breve, entrò però rapidamente nel cuore del pubblico, con lusinghieri risultati di audience, e riscosse il plauso quasi incondizionato della critica. Insomma, la situazione ideale perché diventasse uno spettacolo cult, uno di quelli destinati ad essere trasmesso e ritrasmesso fin quasi alla noia, e a fornire materiale in quantità per i programmi - collage sul filo della nostalgia tipo l'attuale "Techetecheté". E invece, negli anni successivi, "Il caso Sanremo" è pressoché scomparso dai teleschermi: non ricordo se, prima di essere "ripescato" in questo agosto 2013, vi siano state precedenti repliche: a memoria direi di no ma, in caso contrario, tali riproposizioni devono esser state assai poche e pure semiclandestine. GIOIELLO DIMENTICATO - Un capolavoro catodico messo subito in magazzino e lasciato lì a impolverare. Perché? Semplice dimenticanza, o più probabilmente pigrizia mentale. Fateci caso: coloro che sono preposti alla costruzione delle trasmissioni "di archivio" attingono, in linea di massima, sempre alle stesse fonti, pur prestigiose, tralasciandone completamente altre, e spesso addirittura ripropongono sempre gli stessi filmati, ormai mandati a memoria dagli sconsolati telespettatori. Così, certe gemme preziose finiscono per troppo tempo nel dimenticatoio. Cosa grave in generale, ancor più per un progetto come "Il caso Sanremo", terzo capitolo e sintesi ideale di quella "formula Arbore" che dalla metà degli anni Ottanta sconvolse certi schemi dell'intrattenimento nostrano, incontrando un favore di pubblico fragoroso e inaspettato.
Un percorso iniziato con "Quelli della notte", proseguito con "Indietro tutta" e completatosi con questo "aperitivo sanremese", nel quale si ritrovano in larga parte gli elementi salienti dello stile di scrittura del poliedrico showman pugliese: divertimento sfrenato attraverso una sorta di... caos organizzato, un'allegria "paesana" ma calibrata sui tempi e sulle modalità espressive del piccolo schermo, personaggi - tormentone dalla bizzarra e straripante simpatia, gag semplici ma non scontate eppure godibili, tanta musica, una coralità recitativa in cui tutti hanno un ruolo ben preciso, eppure nulla sembra al proprio posto, in un felice disordine scenico. E poi le sigle di facile presa, anche se, inspiegabilmente, le orecchiabili "Che ne parliamo a fa'" (si veda il video qui sotto) e "E la candela va" non ebbero il successo di vendite di "Ma la notte no" e "Sì, la vita è tutt'un quiz". Misteri del mercato discografico.
CELEBRAZIONE SCANZONATA - "Il caso Sanremo" andava però oltre la suddetta formula, la completava e la arricchiva, anche perché nasceva con uno scopo ben preciso e, diciamo così, "serio": al divertissement puro si aggiungeva la necessità di celebrare l'evento canoro - catodico per eccellenza, il Festivalone che quell'anno toccava la ragguardevole quota di 40 edizioni. Ma a celebrarlo in maniera istituzionale aveva già pensato, pochi mesi prima, Mike Bongiorno su Canale 5 con "C'era una volta il Festival", spettacolo che vide in lizza, in un vero e proprio concorso, le vecchie glorie della manifestazione a riproporre i loro cavalli di battaglia. Quel geniaccio di Arbore, ovviamente, percorse altre strade: un vero e proprio processo al passato del Festival, ai suoi fatti e soprattutto ai suoi misfatti, con tanto di Corte, giuria popolare, pubblico ministero e avvocati. Ma lo spazio per la nostalgia era comunque garantito dalla presenza, in ogni puntata, di due o più cantanti per ogni decennio fin lì attraversato dalla manifestazione, dai Cinquanta agli Ottanta. CANTANTI ASSENTI E PRESENTI - Dicevo delle difficoltà di gestazione: proprio il fatto di arrivare poche settimane dopo la produzione - kolossal di marca Fininvest impedì alla Rai, per motivi di esclusiva con la corazzata berlusconiana, di scritturare molti dei cantanti che avevano preso parte a "C'era una volta il Festival", fra cui plurivincitori sanremesi come Bobby Solo e Iva Zanicchi. Della vicenda si trova una traccia in una delle puntate dello show di Arbore, una traccia leggera ma incisiva, nel segno dell'arguta ironia del duo pugliese mattatore dello show: il buon Renzo elenca una serie di artisti non partecipanti al programma, poi, da buon giudice con tanto di toga, per ciascuno di essi specifica: "Contumace!", e Lino ogni volta aggiunge: "Con... Berlusconi!". Un ostacolo che però non impedi alla trasmissione di Rai Uno di schierare, nelle cinque puntate, oltre quaranta cantanti reduci dai Festival passati: da Carla Boni a Linda Cristian, da Sergio Endrigo a Don Backy, da Antoine a Peppino Di Capri e a Flo Sandon's, fino a Rossana Casale, Raf, Zarrillo, Mia Martini, Eduardo De Crescenzo...
MATTATORI - Creatura bizzarra, questo revival caciarone e fuori dagli schemi, fin dalla scelta del titolo: presentato dalla stampa e dagli stessi protagonisti come "Aspettando Sanremo", già dalla prima puntata mutò ragione sociale e diventò "Il caso Sanremo", in seguito a una trovatina di sicuro impatto: un annuncio di un giornalista del Tg1 che seriosamente comunicò la mancata messa in onda del previsto spettacolo, per lasciar posto a un servizio giornalistico "sui presunti, gravi reati che ne hanno impedito la trasmissione"...
La riuscita dello show si dovette anche, in larga parte, all'intesa perfetta fra Arbore e Lino Banfi, coppia inedita dai tempi comici mirabili e con la battuta sempre in canna. Era ancora il Banfi brillante, ruspante e straripante lasciatoci in eredità dai film scollacciati degli anni Settanta - primi Ottanta, il radicale mutamento di modalità espressive figlio di "Un medico in famiglia" era ancora di là da venire. Quel Banfi era ormai diventato uno dei volti di punta della Rai, dopo la militanza Fininvest, anche se il suo passaggio da una sponda all'altra fece meno rumore rispetto a quelli di personaggi come Corrado, Bongiorno, Carrà, Baudo e il duo Vianello - Mondaini. Lino negli anni precedenti aveva già guidato una discussa "Domenica in", un festival di Saint Vincent e uno show serale assieme ad Heather Parisi ("Stasera Lino"), e nell'autunno precedente era stato protagonista del telefilm "Il vigile urbano".
FEDELISSIMI E GIOVANI RAMPANTI - Al fianco dei due mattatori, nel segno della continuità con i due illustri programmi prima citati, tanti fedelissimi di Arbore: Stefano Palatresi, allora in rampa di lancio come giovane cantante pop raffinato anche grazie al secondo posto fra le Nuove proposte a Sanremo '88, ma in realtà mai del tutto sbocciato in tal senso, poi il prolisso "profeta dell'ovvio" Max Catalano, di recente scomparso, e Arnaldo Santoro, con in più il poliedrico Michele Mirabella nelle vesti di improbabile avvocato; attorno a loro, il solito pubblico pletorico, dai costumi coloratissimi e partecipante attivo di vari momenti dello spettacolo, sempre in linea con la tradizione di "Quelli della notte" e "Indietro tutta".
Non solo: oggi sappiamo che "Il caso Sanremo" fu anche vivaio di future giovani stelline della musica italiana: nel complesso musicale "I campagnoli belli", guidato da Stefano Palatresi, faceva bella mostra di sé la cantante Tiziana Donati, che di lì a poco avremmo imparato a conoscere come Tosca, e più defilato un Sergio Cammariere giocherellone e dalle buffe espressioni facciali, tutt'altro personaggio rispetto al cantante timido e sofisticato che ha raggiunto un discreto successo negli anni Duemila. Insomma, per una volta si può ben dire grazie alla Rai, per aver riportato alla luce questa gemma di una tv che sapeva ancora piacevolmente sorprendere perché poteva ancora contare su animali da palcoscenico ma, soprattutto, su idee brillanti e autori in grado di produrle. Ecco: autori, originalità, voglia di sperimentare, ciò che manca quasi in toto alla televisione d'oggidì.