Amateurs, le morali della favola. Recensione in progress.

Creato il 20 gennaio 2011 da Foscasensi @foscasensi
Il libro di Guido Del Monte che parla di anima e di corpo, macroscopicamente di sesso. Del quale ho letto solo un estratto. E non si sa perché mi sono messa pure a fare la critica.

LA PROTEIFORMA

Cosa penso di Amateurs. Prima di tutto, dovrei leggere dall'inizio alla fine. E poi dovrei rileggere. E poi, forse, potrei dire qualcosa. Ma sono una cialtrona, mi capita di rado di passare sopra più di una volta su una storia, un romanzo. Arrivo a tanto che non mi preoccupo di darmi un parere sensato per questo o quel passaggio, per quella trama, per la riuscita di un capitolo o una storia intera. Semplicemente, bestialmente, io cerco qualcosa: so se l'ho trovato solo quando, appunto, l'ho trovato. Non ha una forma che io possa immaginare: quando si palesa, subito mi trovo più in là. E quando sono più in là – nella percezione estetica, nel coinvolgimento erotico. O più compiutamente, nella consapevolezza – posso osservare la forma. La parola, dato che non è, può avere la forma di tutto, può dire tutto. La parola che è capace di dire qualcosa, mi diventa interessante oltre che per la sostanza nella quale scioglie il suo senso, anche per l'impianto in cui la larva di quel significato resta confitta. E pulsando continua a dire di sé, anche se il discorso parla d'altro. Questa forma, che è la forma (due nomi su due piedi) della Kristof o della Woolf, io la considero la tecnica perfetta, la forma delle forme. Col mio lessico, la proteiforma.

Lui la riprese come prima, sopra di lei, tenendole stretto il collo con il palmo della mano e tirandola su, a sé. Angela sentì che stava per venire e s’aggrappò al braccio di Marco il pescatore. Angela spinse a sua volta liberando una gran forza dal ventre e bloccando il pene dentro di lei. La scena era immobile, soltanto spasmi di muscoli.
Vieni insieme a me” – pregò Angela, “vieni insieme a me.”
Continuò a ripeterlo, almeno dieci volte. Poi fu scossa e subito pietrificata dall’orgasmo. Le labbra le si strinsero e sentì nel ventre il pene duro che vibrava.

Siamo nella cabina di un gozzo. Siamo lontani dal molo di Viareggio, da una parte l'ovest dall'altra le Apuane. Angela. Vorrei sapere quanto può essere bello, quanto può essere tenero, cosa c'è di puro cosa di sporco quando i muscoli vibrano e si lasciano andare. Io non mi lascio mai, Angela. Come a te è capitato anche a me di camminare sul molo. Un giovane armeggia con le reti (chissà cosa sta facendo), si interrompe e dice qualcosa. E qualunque cosa dica in realtà sta dicendo mare, e la bocca i denti gli occhi la schiena tutto quel che fa non ha importanza, tranne il mare. Che è sempre corpo sempre umori e freddo e caldo insieme. Si può abbandonare tutto per dire sì a un uomo, si deve abbandonare tutto per dire sì al mare. Ma io non ho detto di sì, mentre tu sei stata coraggiosa.

La forza di Angela sta tutta nella mano, che immagino chiara di carne e unghie bambinesche di sicuro smangiate, che si aggrappa e accoglie e prega. Il piacere è contrattile.

Il problema è di Angela e del mondo. Anzi, forse in ordine inverso. Angela non sa di cosa essere madre, il sistema (leggi, il mondo) vorrebbe tutti orfani. Genitori senza figli e figli senza genitori. La soluzione è sempre semplice e sempre fuori dalle regole. Del resto, chi se ne frega delle regole. Angela avrà un figlio (si farà scopare da tre uomini diversi nel giro di trenta pagine, tra cui anche il marito. C'è un trentatré virgola tre per cento, periodico, di possibilità che il padre sia proprio lui), e il figlio avrà i suoi genitori.

Mi sa che sono incinta. Sì, sono incinta, sono sicura. Un bimbo o una bimba? Che m’importa. Lo voglio fare per bene. Devo prendere tutte le vitamine, fare i controlli. Avrà cinque dita nelle mani e nei piedi e tutto il resto. Avrà una famiglia, un’anima e un corpo. E avrà una mamma che pensa, che pensa a lui o a lei”.

Speriamo.

L'ANIMA

Sì, l'anima. Forse c'è in silenzio e sempre come ci sono il cuore e i visceri. Se li si sente può voler dire che stanno male gravemente. Se ci si pensa, è con animo presago. In un sistema autoreferenziale l'anima – comunque la si incontri: sotto forma di assenza consapevole o di preoccupazione – può diventare motivo di sospetto, marchio di esistenza stramba, perfino malattia.

Il cane si avvicina alla cosa sconosciuta con cautela: tutto il corpo è silenzio sollecitudine di muscoli, tutto è attesa e la bestia appare solo muso, solo una sottigliezza di figura che dal sommo del tartufo (una cruna di conoscenza, il cavo di una narice intercetta forse un pugno immenso e insieme infinitesimale di atomi, che passano per una canna nasale, passano una manipolazione percettiva che fa di loro, ma in ordine inverso: un pensiero, un odore) si unisce alla cosa ignota, in combattimento fra cautela e curiosità.

Angela è il cane che ha fiutato, l'anima viene fuori sotto forma di domanda e di assenza. Angela ha bisogno di parlare con qualcuno per pensare (perché, mi domando). Il problema diventa antico, diventa precristiano: siamo approdati alla maieutica. Luca, filosofo, è il personaggio che fa pensare Angela e parla con lei. Marco, il marito di Angela (non il pescatore della prima scena, che porta lo stesso nome), non fa pensare Angela, ma pensa che Luca ci provi. Guarda quel che può guardare del corpo e dell'anima che si espandono, che tradiscono, cioè vanno oltre i confini. Guarda anche il Gran Premio con gli amici, fa delle mangiate di pesce con gli sgombri che Marco il pescatore regala ad Angela dopo una schermaglia amorosa al largo. Intanto Angela tradisce: Marco il marito col suo cranio piccolo dicotomico cristiano sospettoso adulterino non può sapere come. Angela varca i confini di se stessa (nei quali pare sia stata fino ai trent'anni anni: l'anestesia, il suo lavoro di ragioniera) perché erano confini drogati dal sistema. Non c'è vuoto fra gli uomini: un'anima che cresce espande un corpo, un corpo che cresce si mescola ad altri corpi. In questo caso Luca. Che sembra si trovasse lì per caso. Ma in ogni caso, non disdegna.

COSA NON MI PIACE

Essenzialmente le scene di vita quotidiana e la rappresentazione del sistema. Il racconto mi ricorda la carta velina. Si può sovrapporre quasi senza limite foglio su foglio: si arriva a un'opacità sostanziosa e un colore inatteso che sono la descrizione di un mondo, insieme dal dentro e dal di fuori. Così sono le vicende di Angela. La vedo fiorire mentre cresce e tradisce i suoi confini, mentre inganna per tornare alla vita da persona piena, anima e corpo, fatta per bene. Pregna di tante cose (deve profumare - erba pesce corde terra uomini: ne sono sicura). Qui il racconto è secco e sodo, è delicato e insieme emoziona perché è pieno. Ogni parola vibra per se stessa e per il suono, tutto suo, che conquista nell'intreccio di cui fa parte. Ecco, io avrei parlato di questo e basta. Lo sfondo, e cioè il sistema, non l'avrei cantato, non avrei detto dei pranzi lunghi e quotidiani, i dialoghi per far vedere quanto a volte sia noioso parlare, per descrivere la misura della differenza fra il confronto maieutico e il cicaleccio. Stancano. E per cosa, poi. Tutta quella materia nel mio sforzo creativo, cioè al posto del Del Monte, avrebbe dovuto essere la struttura dell'impianto, e non l'oggetto del discorso. Come fare, mi direte. E che ne so, chiedetelo a lui.


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