Il rapporto tra l’uomo e il cane, vecchio oltre quindicimila anni, ha in sé qualcosa di magico, e solo chi l’ha sperimentato almeno una volta nella vita può capirne la ragione profonda, e il mistero che vi è sotteso. Strana creatura, il cane. Tanto simile a noi, tanto umano eppure tanto animale: puro istinto primordiale, selvatico, mitigato però da una sconfinata tenerezza. Compagno fedele, presenza discreta, un’ombra che è tutta luce e calore. Del cane non si può che dir bene, e Quaglino – che in questo prezioso saggio (edito da Raffaello Cortina) stila un vero e proprio elogio del cane – non teme di affermare che «più si conoscono gli uomini e più si amano i cani.» Dal cane c’è sempre da imparare. Specchio di ogni virtù, il cane brilla di una saggezza tutta sua, di lealtà e soprattutto di fedeltà.
Quaglino definisce il cane l’animale della soglia e dell’ombra, alludendo non a luoghi fisici ma a dimensioni di interazione empatica; la soglia è quella tra casa e giardino, tra mondo privato e mondo esterno, ma più ancora quella tra il sé esteriore e il sé interiore (il cane ha scelto di dimorare sulla soglia dell’uomo, di vegliare sulla sua sicurezza, di difendere la sua porzione di territorio, sorta di ombra che al contempo lo precede e lo pedina). Sulla soglia e nell’ombra il cane non parla ma comprende, ascolta e consola; ha lo sguardo disarmato e fiero, sincero, schietto, sempre velato d’implicita umiltà, uno sguardo cucciolo e saggio capace di tradurre ogni sentimento. Con un cane non si è mai soli. I detrattori lo tacciano di servile opportunismo, o peggio ancora di parassitismo, e giù per contro a lodare l’autosufficienza emotiva dei felini. Di chi non ama i cani, ci mette in guardia Quaglino, è meglio non fidarsi; sono questi “nemici dei cani” ad aver messo in circolo espressioni come “sei un cane!” o “vita da cani” o “freddo cane” o ancora “solo come un cane”, dove l’accezione negativa la fa da padrone. Perché tanto accanimento? Al riguardo Quaglino fornisce un elenco molto dettagliato: «…Se si sta molto male si sta da cani, se c’è un chiasso infernale è una cagnara, se c’è un’afa insopportabile è una canicola, un tipo poco raccomandabile è una canaglia, un altro che vi guarda storto vi sta fissando in cagnesco…», senza contare il tracagnotto, il rincagnato, il rognoso, il ringhioso, chi mena il can per l’aia e chi canta come un cane. Dare del cane a qualcuno non è mai stato un complimento, dunque. Ma perché? Eppure la storia millenaria del cane, cerberi a parte, è costellata di buoni esempi (si potrebbe dell’uomo dire altrettanto?); un nome su tutti: Braganza, l’umile e devoto cane-filosofo partorito dalla penna di Cervantes.
Nell’ultimo capitolo del saggio Quaglino si interroga sull’anima del cane, su quel “posto in paradiso” che gli spetterebbe di diritto data la sua infinita umanità. Le pagine più delicate e accorate sono quelle sulla morte del cane, una perdita affettivo-amorosa subita dal padrone alla stregua di un vero e proprio lutto. Nell’elogio funebre al suo adorato cane l’umanista Leon Battista Alberti scrisse: «…Addio dunque, cane, e, per quanto sta in me, possa tu essere, come la tua virtù richiede, immortale.»
Elena De Santis
Cover Amedit n° 23 – Giugno 2015 “Il ragazzo dagli occhi di cielo” by Iano
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 23 – Giugno 2015.
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