Gli Amber fanno parte di quel nutrito gruppo di formazioni che possono essere definite senza troppi giri di parole semplicemente postcore. La loro è infatti musica ricca di pathos, urgenza, energia e combina al suo interno spinte differenti se non antitetiche, dalla rabbia alla voglia di riscatto, dalla disperazione alla determinazione per resistere alle avversità. Ciò che li pone un gradino sopra al branco è la capacità di scrivere brani che colpiscono dritti al cuore, rifiniti con linee melodiche emozionanti e – al contempo – prive di quel manierismo stucchevole che troppo spesso appesantisce proposte similari. Sin dall’iniziale “Kings Like Us” si nota come le varie componenti del suono interagiscano tra di loro senza diminuire la forza dei vari elementi, a cominciare dal cantato sempre urticante che impedisce ai passaggi più delicati di stemperare troppo il mood generale del lavoro. All’interno dell’album trova posto anche una vena sludge, che ne permea l’andamento e vena di oscurità l’afflato epico dei brani, un retrogusto di solitudine e desolazione che lambisce ogni momento per aggiungere una sfumatura estrema all’insieme, arricchendo ulteriormente una proposta già interessante. Ciò che colpisce è la capacità dei tedeschi di tenere in equilibrio tutti questi elementi, spesso in apparente lotta tra di loro. Lovesaken conquista l’ascoltatore e ne soddisfa differenti esigenze, a dimostrare come la scena europea sia in grado ormai di rivaleggiare e guardare dritto negli occhi i cugini statunitensi. Mai come oggi, la Germania sembra essere la patria di una scena fiorente e di assoluto valore, grazie a una nutrita schiera di nomi di cui gli Amber entrano a far parte a pieno titolo. Chi ama simili sonorità dovrebbe dedicare loro il tempo e l’attenzione che meritano.
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