Uno smacco tremendo per il folkloristico movimento dei “new atheist”, presente in Italia grazie a Piergiorgio Odifreddi, Corrado Augias, Margherita Hack e Umberto Veronesi (osservando l’età media, “new” si fa per dire ovviamente), il quale ha proprio come obiettivo quello di strumentalizzare la scienza usandola come arma contro la fede religiosa. Il fallimento di tale movimento, sorto durante le varie dittature comuniste del 1900, esploso istericamente dopo l’evidente fallimento della filosofia marxista e aggravatosi a causa del terrorismo religioso di matrice islamica (11/11/01 per intenderci), lo si può notare anche dai dati sulla religiosità in America rilevati dall’ultimo studio di “Pew Research Center”.
Il dato saliente che emerge da questa indagine è che negli ultimi anni sono aumentati coloro (oggi il 20%, un 2-3% in più negli ultimi 5 anni) che si definiscono “senza appartenenza religiosa” (sociologicamente detti “nones”), persone che non necessariamente sono prive «di convinzioni religiose o pratiche. Al contrario, la relazione mette in chiaro come la maggior parte dei “nones” dice di credere in Dio, e la maggior parte si descrive come religioso, spirituale o entrambi». I non credenti restano comunque il 2,4% della popolazione, contro un 92% di credenti in Dio.
In questo 20% di “non più affiliati religiosamente” (compresi atei e agnostici) due terzi crede in Dio (68%), più della metà vive una sorta di paganesimo-panteista (58%), più di un terzo si classifica come ”spirituale”, ma non “religioso” (37%), tre su dieci dicono di credere nell’energia spirituale degli oggetti fisici e nello yoga come pratica spirituale. Circa un quarto crede nell’astrologia e nella reincarnazione, tre su dieci dicono di essersi sentiti in contatto con qualcuno che è morto e il 15% ha consultato un sensitivo. Il dato conferma dunque uno studio del 2008 apparso sul sito della Baylor University secondo cui aderire consapevolmente alla religione cristiana diminuisce notevolmente la credulità, misurata in termini di convinzioni in cose come sogni, Bigfoot, UFO, case infestate, comunicazione con i morti e l’astrologia.
Occorre anche dire anche che uno su cinque (21%) di queste persone allontanatesi dalla religione afferma di pregare ogni giorno, mentre la maggior parte ritiene che le chiese e le altre istituzioni religiose siano una forza per il bene della società, rafforzano i legami comunitari (78%) e sostengono in modo importante i poveri (77%), anche se troppo occupate di denaro (70%) e politica (67%).
Un’altra cosa interessante è che questi “non più religiosamente affiliati” si sono staccati in maggioranza dalla religione protestante (evangelici, battisti, metodisti ecc.). Nel 2007, il 53% degli americani si definiva protestante mentre nel 2012 sono calati al 48% (la prima volta che si scende sotto il 50%). Al contrario, la quota di popolazione cattolica è rimasta approssimativamente costante negli ultimi sei anni: il 22-23% degli americani. Riassumendo queste tendenze da un’altra angolazione, spiegano i ricercatori, la popolazione di religiosamente non affiliati è sempre più composta da persone che raramente o mai partecipa alle funzioni religiose. Anche questo è un dato importante perché evidenzia come il distaccarsi dalla propria comunità, il ritenere superflui i sacramenti e le direttive della Chiesa assumendo una posizione di “fede adulta”, è frequentemente il primo passo verso il distacco completo dalla religione e dalla religiosità, o comunque un abbandono dei valori cristiani come dimostra la situazione oggi della comunità cattolica ultra-progressista olandese, dilaniata dalla pedofilia.
Secondo gli studiosi, infine, questi dati sono causati da diverse teorie: ovviamente l’aumento della secolarizzazione (cioè la crescita del benessere sociale e della ricchezza porta ad abbandonare la fede religiosa, illudendosi che Dio non sia più necessario come se poi “servisse” davvero a questo scopo), il continuo rimandare il matrimonio e la genitorialità (i non più affiliati sono aumentati solo tra i non sposati) e l’aumento del disimpegno sociale, cioè «una tendenza tra gli americani a vivere più vite separate, avviare un minor numero di attività comuni, meno probabilità di coinvolgersi in gruppi di volontariato e di comunità, dalle leghe sportive ai gruppi artistici». Insomma l’incremento dell’individualismo/solitudine, come ha mostrato un’altra recente indagine, correlato in modo parallelo all’aumento della secolarizzazione.