America oggi, le scorciatoie esistenziali di Robert Altman

Creato il 29 agosto 2014 da Nicola933
di Michele Giacci - 29 agosto 2014

America oggi (Short Cuts)
Genere: Drammatico
Regia: Robert Altman
Cast: Andie MacDowell, Bruce Davison, Jack Lemmon, Julianne Moore, Matthew Modine, Tim Robbins, Madeleine Stowe, Anne Archer, Fred Ward, Jennifer Jason Leigh, Chris Penn, Lili Taylor, Robert Downey Jr., Tom Waits, Lily Tomlin, Frances McDormand, Peter Gallagher, Annie Ross, Lori Singer, Huey Lewis
1993
189 min

Di Michele Giacci. Il regista Robert Altman nel 1993 presenta alla 50ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia uno dei suoi più grandi successi, America Oggi, aggiudicandosi il Leone d’Oro per il miglior film.

Altman raccoglie e adatta brillantemente nove racconti e una poesia di Raymond Carver dove dalla scena di apertura, in cui gli elicotteri sorvolano Los Angeles spruzzando insetticida per uccidere la mosca della frutta, fino ai momenti finali del film, quando la città viene scossa da un terremoto, i 22 caratteri di questo avvincente dramma sono tenuti fuori equilibrio, dalla città e dalla natura, bloccati in posti di lavoro senza prospettive e relazioni insoddisfacenti.

Parte del trionfante e feroce miracolo dell’innovativo America oggi è il continuo giocare con le vite dannate degli uomini Carveriani in 189 minuti che non riescono del tutto a saziare lo spettatore per l’audacia del racconto di una Los Angeles piena di disperazione. Un altro fattore chiave sono le scorciatoie del montaggio, che portano il pubblico a pensare attraverso il film piuttosto che semplicemente sedersi davanti allo schermo.

Lo stile del regista è di una raffinatezza intensa e attenta alle migliori idee combinate con il meglio della competenza tecnica che il cinema americano era riuscito a mettere a punto in quegli anni. Sovrapposizioni e dialoghi improvvisati dove possiamo spesso ascoltare più di una conversazione alla volta decidendo a cosa prestare attenzione. In modo più uniforme, scatti improvvisi, punti di vista e angoli di ripresa ci danno la sensazione di sbirciare in realtà la vita degli altri; ritmi di montaggio e colpi di transizione che ci disorientano, ci costringono a guardarci intorno (all’immagine) e decidere dove siamo. Partecipazione totale, pensare attraverso il film. Altri hanno impiegato alcune di queste stesse tecniche – sono elementi ormai ampiamente riconosciuti del lessico cinematografico – ma pochi di loro sanno come maneggiare abilmente e senza paura il pennello dell’artista.

Le anime di Altman, sia perdenti che vittime, si strofinano l’una contro l’altra molto casualmente e il loro destino è determinato esattamente nello stesso modo, per caso. Essi sono in grado di controllarlo in maniera spesso sconveniente. Non possono vedere ciò che sta accadendo a loro perché sono per lo più colpevoli, nati con l’incapacità di relazionarsi gli uni agli altri e col mondo in generale.

Altman e il co-sceneggiatore Frank Barhydt hanno inventato una struttura drammatica convincente per contenere i loro personaggi in un ritratto di Los Angeles che riesce a diventare una sorta di Odissea americana con una parabola di vita alquanto più ampia di quella originale. Il risultato è uno straordinario pezzo di cinema, una sorta di collaborazione osmotica con lo scrittore originale. Come i grandi autori Altman racconta la sua storia a modo suo. Alcuni spettatori sono confusi o alienati o minacciati, non più di quanto non lo siano i lettori di Dostoevskij, per esempio, o Melville. Guardare un film di Altman è come leggere un libro ben scritto, significa che funziona e il lettore/spettatore partecipa all’atto creativo.

Come molti comunicatori professionisti, Altman focalizza il suo cinema proprio sull’enigma della comunicazione: le persone possono realmente comunicare? Perché ciò che ascoltiamo è così diverso da ciò che viene detto e perché ciò che si dice è diverso da quello che si intende? L’intensità di questa interdipendenza accoppiata con i nostri limiti umani, in particolare gli sforzi a volte esilaranti e a volte strazianti che mettiamo nel comunicare – trovare punti in comune con gli altri – è il perno emotivo delle storie e del film

Nella colonna sonora è presente un brano chiamato “Prisoner of Life” del sassofonista Lenny Pickett, una ballata che riflette sui capricci della fortuna: “… un giorno possiedi il mondo / il giorno dopo il mondo possiede te.” E’ in questo mondo così imprevedibile e incontrollabile che si muovono i personaggi dalle anime maledette.

Ci sono gli amanti che comunicano col sesso e non hanno nulla che non sia inganno da condividere fuori dal letto. C’è il bambino programmato di non parlare con gli sconosciuti che rifiuta l’offerta di aiuto dopo un incidente, e il genitore spaventato e intimorito che accetta le sue rassicurazioni. La figlia senza padre di musicisti jazz la cui unica fonte di comunicazione è il suo violoncello – la musica (ma del tipo sbagliato) non abbastanza per riempire i suoi bisogni, nonostante la sua malinconica bellezza. C’è la moglie del pulitore di piscine che gestisce un telefono erotico mentre svolge le faccende di casa e accudisce i figli – il suo linguaggio lurido ed esplicito rivolto verso i suoi clienti è un sostituto della vera intimità, quella noiosa col marito infantile.

C’è il fornaio dispettoso che quando si confronta con il dolore suo malgrado causato, apre il cuore a coloro che ha ferito. C’è la coppia di ubriachi, che deplorano la propria vita a bere – possono solo trovare sollievo dalla realtà sordida e dolorosa del loro fallimento nel dimenticatoio dell’alcol.

L’ambiguità intenzionale del titolo originale riflette i complessi livelli di significato in questo film. “Scorciatoie”, modi di aggirare gli ostacoli, di guadagnare tempo prezioso. Ma anche “piccoli tagli” o porzioni che contengono meno di quello che effettivamente dovrebbero rappresentare. Piccoli frammenti di pellicola e di vita come i petali di una Magnolia che vedremo schiudersi nella visione esistenziale di Paul Thomas Anderson circa 6 anni più tardi.

Le performance del cast sono meravigliose. Altman lo ricordiamo come “il regista degli attori”. Ottiene prestazioni assolutamente autentiche da loro concedendogli la libertà di creare i personaggi. Gran parte del dialogo è improvvisato, partorito dall’attore come personaggio sul posto. Attraverso questo processo di fusione nasce un senso di realtà che pochi film riescono a raggiungere. Ci sono così tante splendide prestazioni che è difficile individuarne la migliore. Le stelle e i talentuosi caratteristi lavorano con “incognite” in un insieme che non stride con artificialità o tecnica visibile.

I personaggi raggiungono il punto massimo della loro vita, quando non si preoccupano di quello che succede agli altri. Questo è un elemento inconfutabile di malattia dell’anima. Molti di loro sono così stufi con la loro scadente vita che niente fa più alcuna differenza. Se siete alla ricerca di un film che vi porterà a fare una passeggiata sul lato soleggiato della strada allora America oggi non fa per voi. Se volete un film che cattura e trasmette il malessere contemporaneo di malattia dell’anima, l’opera di Altman lo fa meglio e in maniera più convincente di qualsiasi cosa abbiate mai visto prima.


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