- la splendida coppia di protagonisti, Burt (John Krasinski) e Verona (Maya Rudolph), facce belle (non necessariamente in senso tecnico), comunicative, espressive. Due ragazzoni di una generazione criticamente di mezzo (lui ha 33 anni, lei 34) che vivono insieme (senza essere sposati perché lei non crede nel matrimonio) e aspettano una bambina; a tratti un po' ingenui e adolescenziali, certamente confusi ma animati di buone intenzioni; giocherelloni, ma anche capaci di trovare risorse e forza dentro di sé; innamorati certamente, romantici, con un feeling speciale all'interno della coppia. Era tanto che non vedevo al cinema una coppia di attori e personaggi funzionare così bene!
- i primi esilaranti incontri dei due con altre coppie durante il loro on the road; in particolare l'incontro con la coppia disfunzionale di Phoenix (Lily e Lowell) con i figli obesi e quella con la coppia hippie/new age di Madison (LN, interpretata dalla splendida e bravissima Maggie Gyllenhall, e Roderick) che segue il culto del cavalluccio marino e ha una vera idiosincrasia nei confronti dei passeggini. In questa prima parte, tutta un po' sopra la righe e giocata su una sceneggiatura brillante, il film mi ha ricordato E morì con un felafel in mano, per il tono un po' scanzonato e canzonatorio al tempo stesso. E non so se è un caso, ma i due film condividono anche una canzone della colonna sonora, precisamente Golden Brown dei The Stranglers, che nel film australiano è elemento portato e qui è praticamente una citazione, visto che scorre in sottofondo durante il pranzo con la coppia di Madison.
- infine, appunto, la colonna sonora, prevalentemente affidata ad Alexi Murdoch, uno che in qualche modo si colloca a metà strada tra Nick Drake e Dave Matthews e che ci sta perfettamente in un road movie che inizia scoppiettante per poi virare sul melò. In un viaggio tra i paesaggi pieni di cactus dell'Arizona e i boschi verdi del Colorado (come quelli che si vedono nel film) io questa colonna sonora la sparerei ad alto volume in macchina con i finestrini abbassati.
Anche solo per questi tre motivi sfido chiunque a credere che il film è diretto da Sam Mendes. Sì, lui, lo stesso di American Beauty e di Revolutionary Road, bellissimi film, certo, ma duri come macigni e spietati come rasoi affilati.
Sarà dunque che Mendes a cuor leggero proprio non ci riesce ad esserlo, ma il limite più grande di questo film è proprio la piega melodrammatica (ma pur sempre poco realistica) che prende nella seconda parte, quando non si riesce più a ridere delle stranezze del mondo e delle persone che lo abitano, ma si finisce per guardarli ottusamente dall'interno.
Anche quella necessità tutta americana di risolvere spaesamento e confusione con un indistinto ritorno alle radici e alla famiglia risulta infine un po' stucchevole. Forse avrei chiuso il tutto con quel dialogo bello, leggero e commovente tra Burt e Verona, distesi sul tappeto elastico.
Infine, piccola annotazione. Va bene che il titolo American life scelto per la versione italiana del film è forse più intellegibile e più direttamente comprensibile (pur essendo lo stesso in inglese) per il pubblico di casa nostra, però mi spiegate perché non lasciare l'originale Away we go?
Voto: 3/5 (4 per la prima metà del film)
Il trailer propone il meglio della prima parte, censurando furbescamente tutto il resto!