Americana

Creato il 07 giugno 2011 da Zambo
Il 1967 è celebrato come la Summer of Love, il culmine del flower power e della filosofia hippie, l'era psichedelica su entrambe le sponde dell'oceano. Di qua l’estate dell’amore si celebrava all'UFO Club con i Pink Floyd di Syd Barrett e con i primi Soft Machine, con i Beatles di Sgt. Pepper, la Jimi Hendrix Experience, i Cream di Disraeli Gears, i Traffic di Mr. Fantasy. Dall’altre parte dell’Atlantico nella Haight Ashbury di Grateful Dead, Jefferson Airplane, Big Brother, QuickSilver Messenger Service, Santana e la Los Angeles psichedelica di Love e Doors, Bob Dylan nella Summer of Love era assente. Era in un seminterrato ad inventare la nuova musica americana con la sua band, la Band. Non tutti i musicisti americani erano rimasti folgorati dalle band della british invasion e non proprio tutti avevano cercato di diventare i Beatles, gli Stones, gli Animals o gli Yardbirds d’America. Uno stuolo di operai del rock'n'roll, di blue collar della musica, si guadagnava da vivere suonando giorno per giorno nei piccoli locali per trecento sere all’anno, oppure come backin’ bands in sale di registrazione del R&B come il Fame ed i Muscle Shoals. A Muscle Shoals, a Memphis, a Nashville, a Los Angeles. Operai del rock che neanche nella più fervida delle proprie fantasie potevano immaginare che il proprio momento fosse prossimo. I futuri ispiratori del nuovo rock americano non erano molto di più di una modesta band canadese che accompagnava un rock & roller di seconda scelta del Tennessee, Roger Hawkins, emigrato a cercare un po' di popolarità locale nella terra dei grandi laghi. Il gruppo prendeva il nome di The Hawks: Rick Danko al basso, Garth Hudson all'organo, Robbie Robertson alla chitarra, Richard Manuel al piano, a cui si aggiungeva l'americano dall'Arkansas Levon Helm alla batteria. Tutti ottimi musicisti, quattro su cinque erano in grado anche cantare, oltretutto ognuno con una voce suggestiva. Ciò nonostante quando, dopo aver accompagnato Hawkins per un lustro, nel '63 si trovarono senza cantante, all’inizio lo cercarono fuori dalla band per poi decidersi solo alla fine per Levon Helm, il batterista dalla voce commovente. Qualche tentativo di incidere un singolo di qualche successo non ebbe esito, e si proposero allora al bluesman John Lee Hooker, che però era prematuramente vicino alla fine dei propri giorni. Furono d’aiuto a John Hammond nel registrare un disco, e capitò che John li consigliasse addirittura al nuovo astro nascente del folk Bob Dylan che era in cerca di una band elettrica per trasformare il proprio folk in rock come la musica di quei diavoli di inglesi. Dylan scelse Robertson e Levon Helm, ma i due, che non avevano neanche un’idea troppo precisa dell’importanza artistica di zio Bob, gli imposero tutto il gruppo. Furono giorni strani per la band, che dalla routine si ritrovava improvvisamente catapultata in concerti funestati dalle contestazioni del miope e talebano pubblico del folk, che pretendeva che Dylan si accompagnasse con la sola chitarra acustica. Fu troppo per Levon Helm che lasciò tutta quella follia. Con Dylan il gruppo fece esperienze straordinarie ed impensabili, come il tour londinese di Dylan, accolto dal pubblico inglese come un superdivo; Robertson suonò la chitarra sui due più celebrati dischi di Bob, Highway 61 Revisited e Blonde On Blonde, che arrivarono al primo posto della classifica americana e che sarebbero stati considerati in futuro come pietre miliari della storia del rock.
Nel 1967, mentre il mondo viveva la Summer of Love, la Band affittava una grande casa rosa a Woodstock vicino a Bob Dylan (che si era ritirato in quella smalltown dopo l'incidente in moto del 1966) e registrava con lui centinaia di canzoni nei basements, lo scantinato, realizzando quelli che sarebbero stati noti al mondo come The Basement Tapes, canzoni rese note per lungo tempo solo grazie ai bootleg, i dischi pirata, e che furono reinterpretate da una quantità di artisti, come Peter Paul & Mary, Manfred Mann, Julie Driscoll e Brian Auger con i Trinity, ed i Byrds. Ci volle quasi un decennio perché le registrazioni fossero infine parzialmente edite dalla Columbia, nel 1975. Robbie Robertson iniziò a scrivere le proprie canzoni, e qualcuna ne scrisse Richard Manuel e Rick Danko assieme a Bob Dylan. Il disco di quella che ìnel frattempo era divenuta The Band (semplicemente "la banda") uscì nel 1968, con il titolo di Music From Big Pink, e benché non finisse in testa alle classifiche, sarebbe destinato a diventare uno dei più acclamati ed influenti dischi rock di tutti i tempi. L'atmosfera delle dieci canzoni era quanto di più lontano si potesse immaginare dal rock psichedelico che si sentiva in giro, ma anche dal beat che le band britanniche avevano importato.Canzoni come The Weight e Tears Of Rage sembravano intrappolare l'elegiaco suono dell'epopea della campagna americana, dei suoi grandi spazi e della sua storia. Una musica rilassata, evocativa, romantica ma al tempo stesso robusta, una musica delle radici che faceva leva sulla intensa bellezza delle canzoni anziché sul volume degli strumenti o sugli assolo di chitarra o di batteria. Il distillato di americanità sprigionata da quei solchi fu epidemico: chi l'ascoltava si convertiva al nuovo suono. Racconta il critico musicale Nick Kent che tutto d’un tratto ogni musicista americano o inglese gettava la camicia fosforesente e si faceva crescere la barba per assumere il look del cacciatore di orsi. Eric Clapton decise di farla finita con il supergruppo psichedelico dei Cream, all’apice della popolarità, per inseguire quel suono morbido e rilassato, mettendo assieme i Blind Faith con Steve Winwood dei Traffic, il più americano dei musicisti inglesi. I Rolling Stones si convertirono al rock della cotton belt (la “cintura del cotone” del sud degli States), i Grateful Dead registrarono Workingman's Dead ed American Beauty, i Byrds si unirono temporaneamente a Gram Parsons per registrare un disco country, Sweetheart Of The Rodeo. Bob Dylan registrava il suo disco roots, Nashville Skyline. L'estate dell'amore era finita, era cominciata l'era della Musica Americana. The Band avrebbe replicato la magia del primo disco con due altri magici capolavori, The Band e Stage Fright, prima di forzare Bob Dylan a tornare sul palco per il primo concerto dopo l'incidente, per lo show di capodanno del 1971 testimoniato nel disco Rock Of Ages, in cui le canzoni del gruppo sono accompagnate dai fiati arrangiati dal leggendario musicista di New Orleans Allen Toussaint. The Band avrebbe accompagnato ancora Dylan in Planet Waves (1974) ed il live Before The Flood, prima del proprio celebrato ultimo concerto, tenuto come si trattasse di un avvenimento epocale al Fillmore West nel giorno del ringraziamento del 1976 con ospiti tutti i musicisti che avevano in qualche modo incrociato la carriera del gruppo come Clapton, Hawkins, Muddy Waters, Paul Butterfield, Emmylou Harris, Neil Young, Van Morrison e naturalmente Bob Dylan. Il concerto è testimoniato dal film The Last Waltz di Martin Scorsese che aggiunse ulteriore popolarità al mito della Band.
Nel 1968 Eric Clapton era il più mitizzato fra i chitarristi elettrici, secondo al solo Jimi Hendrix, al quale Eric era debitore del suono psichedelico dei Cream di Disraeli Gears e Wheels Of Fire. Music From Big Pink aveva sparigliato le carte; né il suono né il seguito fanatico dei Cream appartenevano veramente al DNA di Clapton, che si sentì subito attratto dalle atmosfere laid-back e bucoliche della Band. C’è chi racconta che il mitico slowhand fece persino un tentativo di essere assunto dal gruppo di Robbie Robertson. Di certo si decise per l’addio al power trio, per lavorare al suono “americano” assieme ad un altro soul man di anima nera nato in Inghilterra, Steve Winwood dei Traffic (un gruppo per molti versi affini alla filosofia della Band). Il progetto prese il nome di Blind Faith (fede cieca, per l’attesa che aveva creato fra i fan) ma andò in porto solo a metà, forse per la partecipazione di Ginger Baker alla batteria, che pare non fosse stato invitato. Baker era un membro dei Cream, il che fece pensare ai fan (e forse anche ai discografici) che i Blind Faith sarebbero stati una riedizione dei Cream senza Jack Bruce. L’album del gruppo inglese contiene molte chicche, fra cui Presence Of The Lord e Can’t Find My Way Home, ma il tour americano non fu apprezzato dai fan accorsi per ascoltare le tirate elettriche che Clapton non aveva alcuna intenzione di suonare. Per qualche motivo la band che supportava nel tour i Blind Faith era il duo R&B bianco di Delaney & Bonnie, accompagnati dai Friends, vale a dire un’infornata di quei session man blue collar del rock americano che si diceva in apertura: dal talentuoso pianista Leon Russell (session man con Phil Spector e musicista di studio con i Byrds, e successivamente guest star di tutto il gotha del R&R), a Jim Gordon, Carl Radle e Bobby Whitlock, già session man con gruppi dei sixties come Beach Boys, Everly Brothers, Byrds oppure in studio con gli artisti della Stax Records come Sam & Dave. Clapton rimase impressionato dall’atmosfera familiare dei Friends, dalla loro musica rilassata e dalla personalità di Delaney Bramblett, che divenne il suo mentore e a suo dire gli insegnò a cantare, e gli produsse il primo disco solista, quello di After Midnight. Clapton passò il tempo del tour assieme alla band americana, e alla fine se la portò in Inghilterra per portarli dritti a Palazzo, presentandoli a Beatles e Rolling Stones, registrando con essi il capolavoro di George Harrison All Things Must Pass ed il live Delaney & Bonnie & Friends On Tour With Eric Clapton (che pure non fu all’altezza dell’atmosfera dei concerti). Diventati star di prima grandezza dalla sera alla mattina, i Friends accompagnarono il tour di Joe Cocker e Leon Russell Mad Dogs and Englishmen (testimoniato dall’omomino doppio di successo), dopo di che Jim Gordon, Carl Radle e Bobby Whitlock divennero addirittura compagni di avventura di Clapton nell’epopea di Derek & The Dominos, la band del mitico doppio album Layla and Other Assorted Love Songs. Tutta questa energia veniva spesa in poco più di un anno a cavallo del cambio di decennio, il 1970.
Meanwhile, back in the States: in Georgia vedeva nel frattempo la luce un’altra band, formata dai fratelli Gregg e Duane Allman e dal chitarrista Dickey Betts. Duane era uno straordinario chitarrista, anch’esso un operaio session man dei FAME Studios di Muscle Shoals in Alabama, gli studi dove avevano registrato i loro successi musicisti come Aretha Franklin e Percy Sledge. Dopo aver proposto inutilmente il ruolo di cantante solista ad un altro musicista degli studi FAME, Eddie Hinton, i due fratelli e il chitarrista aggiunto decisero di cercare il successo per proprio conto con il nome di Allman Brothers Band. Con una potente formazione basata sulla ritmica di ben due batterie (Butch Trucks e Jaimoe) ed un bassista (Berry Oakley) che faceva da tappeto sonoro alla malinconica voce soul del tastierista Gregg (ispirato da Steve Winwood dei Traffic / Blind Faith), e che lasciava via libera alle galoppate strumentali dei due chitarristi, il più spigoloso Duane, star del gruppo, ed il più morbido e country Dickey Betts. Il primo album, omonimo, del 1969, comprende brani di culto come Whipping Post, Dreams, Don’t Want You No More, It’s Not My Cross To Bear, inventando quel sound che avrebbe preso il nome di southern rock, un melting pot di rock rurale alla Band, rithm & blues del sud, tirate strumentali alla John Coltrane e jam rock. Per il secondo album, Idlewild South, la band registrava ai Criteria Studios a Miami in Florida nell’estate del 1970, quando il produttore Tom Doad li presentò a Eric Clapton, che stava apprestandosi a registrare proprio a Miami l’album dei Derek & The Dominos. Portò Eric (che allora era ancora God) a vedere il concerto degli Allman, e fu amore a prima vista. Duane fu invitato alle registrazioni, che in realtà consistevano in jam a ruota libera fino a che una canzone prendeva forma dall’ispirazione collettiva. Divenne un grande disco, con Duane alla Gibson ed Eric alla Fender, in una fornace di energia che diede luogo a capolavori come gli assolo di Layla, cover blues come Key To The Highway e Have You Ever Loved A Woman, e canzoni ispirate come Bell Bottom Blues e Why Does Love Got To Be So Sad. Un momento irripetibile, che non riuscì ad essere replicato nei concerti live e destinato ad annegare nell’eroina che avrebbe tenuto Clapton lontano dalla scena per anni e definitivamente fuori dal suo picco creativo (e portato Jim Gordon alla schizofrenia). Duane Allman avrebbe avuto il suo momento con gli Allman Brothers Band di lì ad un anno, quando il doppio LP dal vivo At The Fillmore, forse il più celebrato disco dal vivo di tutti i tempi, li proiettò nelle classifiche di vendita e nella leggenda del rock. Prima di incontrare la morte sulle strade di casa in un incidente motociclistico a Macon il 29 ottobre del 1971, con la Harley Davidson contro un lungo camion come quello disegnato sulla copertina del successivo Eat A Peach. Gli Allman Brothers Band accusarono il colpo e proseguirono il proprio cammino, sostituendo Duane con il tastierista Chuck Leavell e realizzando ancora qualche ottimo album come Brothers and Sisters e Enlightened Rogues, per poi sciogliersi e rimettersi assieme di nuovo all’inizio degli anni novanta quando si resero conto di essere diventati una band di culto come e più dei Grateful Dead. Il ritorno sui palchi fu possibie grazie alla collaborazione di chitarristi giovani e di talento come Warren Haynes (dei futuri Gov’t Mule) e di Derek Trucks (nipote del batterista Butch Trucks) che prese il posto di Dickey Betts, più interessato alla bottiglia che al lavoro con la band. Questi ABB mark II si spesero soprattutto nel live show, celebrato e mitizzato nei cosiddetti Beacon Run, una serie di show generalmente sold-out suonati al Beacon Theatre di New York ogni anno in marzo. Nel 2009, in occasione del quarantesimo anniversario del gruppo, i concerti consecutivi al Beacon furono addirittura quindici. Non a caso i dischi dal vivo della nuova formazione furono parecchi: A Night With ABB 1st Set e 2nd Set (con Dickey e Warren); Peakin’ At The Beacon (con Dickey e Derek) e Live At Beacon Theatre (Warren e Derek). Da segnalare anche l’ottimo album di studio del 2003, Hittin’ The Note.
Tornando al 1969, nel dicembre i Rolling Stones erano negli USA per il loro tour americano (quello del tragico concerto di Altamont, l’evento che sancì la fine del movimento hippie) e trovarono il tempo per visitare i Muscle Shoals Studios in Alabama. Decisero di approfittare dell’occasione per registrare nello studio i primi brani di Sticky Fingers, il primo album realizzato per la propria etichetta indipendente. Suonarono in quell’occasione con Bobby Keys (su Brown Sugar), Jim Price e Jimmy Miller (il produttore, che aveva anche prodotto On Tour With Eric Clapton, e prima ancora la mitica Gimme Some Lovin’ dello Spencer Davis Group - per la voce di Steve Winwood). Assieme al successivo Exile On Main Street (registrato però, com’è noto, a Nellcôte, a Villefranche-sur-Mer, durante l’esilio in Costa Azzurra), Sticky Fingers fu l’album più “americano” degli Stones. Un altro songwriter inglese di grande talento, fan di Leon Russell e più tardi pop star, pagò un tributo alla Band con un album che può essere considerato un atto d’amore: Elton John con Tumbleweed Connection (1970, l’album di Country Confort). Di recente Elton ha fatto ritorno al mondo del rock con un paio di ottimi dischi, The Captain & The Kid, che segna il suo ritorno con Bernie Taupin, e The Union, in coppia con il suo mentore Leon Russell. C’è chi dice che fu Tumbleweed Connection ad ispirare gli Eagles per il loro Desperado. Il cammino delle grandi band “Americane” proseguì con i Little Feat di Lowell George, gruppo californiano di Los Angeles con il cuore in Louisiana. E poi, in qualche modo tutte le band roots, da Blasters e Los Lobos, Jason & The Scorchers e Long Ryders, Beat Farmers e Lone Justice fino alle contemporanee Whiskeytown, Jayhawks e Wilco, hanno un piccolo grande debito con quei primi dischi della Band di Robbie Robertson, Ricky Danko, Garth Hudson, Richard Manuel, Levon Helm.
Blue Bottazzi © 2011

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