Amici miei e la solitudine
“Come è triste essere soli” scrisse una volta Pietro Germi, grande regista e padre dell’idea di “Amici Miei” allo sceneggiatore Luciano Vincenzoni, leggendario creatore di personaggi come il buono, il brutto e il cattivo o come Oreste Jacovacci e Giovanni Busacca, il romano e il polentone, i due straordinari soldati de “La Grande Guerra” destinati a rimanere uniti per sempre: nella beffa, nell’ironia, nella tragedia, nella morte.Ma come definire veramente la solitudine?La domanda è complessa anche perché ad essa sono collegate tante altre domande. Che cosa significa essere soli, e cosa significa non esserlo? E come definire l’amicizia, la solidarietà, la vicinanza umana e tante altre situazioni esistenziali?Personalmente sono convinto che per descrivere correttamente un sentimento o una situazione che un individuo vive o sperimenta è necessario fare riferimento all’essere umano in quanto tale e non affidarsi ai criteri di funzionamento o alle logiche di un certo ambiente sociale, specialmente se questo è basato sulla superficialità e non sulla sostanza, sull’avere e non sull’essere. Nel primo caso sarà possibile attingere al vocabolario con cui è scritta la coscienza umana, nel secondo sarà facile finire con l’adattare l’individuo alla moda, allo sconcio rumore dello scandalo, alla morte dei valori e all’esibizione vuota e frivola del cattivo gusto. Mi accorgo però di essere troppo generico. Volevo indagare concretamente il vero significato della solitudine e dell’amicizia e invece sto finendo con concetti troppo astratti. Meglio pensare a qualcosa di concreto. Ad esempio alla passeggiata per Firenze di ieri sera.
Molte strade e luoghi di Firenze fanno venire in mente proprio il film “Amici miei”. Ieri sera, passando da una via del centro a Piazza Santa Croce, alla Biblioteca Nazionale Centrale, fino al lungarno della Zecca Vecchia, mi sono fermato proprio dopo quei pochi scalini che anche il Conte Mascetti, alias il grande Ugo Tognazzi, e la Titti speditamente percorrevano mentre lui impostava il lungo e titubante discorso per lasciare per sempre l’amante, tanto più giovane di lui.
Ma ecco che dalla figura del Conte Mascetti prendono vita nel mio animo, proprio sul lungarno, le scene degli amici sempre pronti a prendersi in giro, sempre disponibili a combattere un sentimento di velata tristezza con le immancabili e geniali spedizioni per realizzare l’ennesima zingarata, meravigliosa e incantevole interruzione nella serietà del mondo, quel tanto che basta per guardarlo dall’esterno e osservarlo per come è realmente. E niente più. Ecco allora il Professor Sassaroli che all’improvviso interrompe un’operazione per travestirsi da centurione, il Necchi che s’inventa la finzione della distruzione dei paesi per la costruzione dell’autostrada o il gruppo del servizio torri che si precipita a salvare d’urgenza la torre di Pisa.E tante volte tutto si conclude o inizia con quel mirabile capolavoro di espressione che il conte Mascetti rivolge al malcapitato di turno che non sa cosa dire o rispondere dopo aver ascoltato il magnifico virtuosismo delle parole che si accavallano, si rincorrono si fermano e ripartono per riunirsi intorno alla spettacolosa supercazzola.
Ma su cosa è fondata la loro amicizia, quella meravigliosa amicizia che permette loro di combattere la strisciante sensazione della solitudine e della malinconia che pure talvolta si affacciano nella loro storia? Basta pensare alla scena in cui il gruppo di amici riflette amaramente dal Piazzale Michelangelo su cosa ha lasciato loro l’alluvione o alla scena nel giardino pubblico quando Mascetti resta male perché gli amici scherzando gli dicono che nel caso di un suo rapimento nessuno di loro avrebbe pagato il riscatto. La loro amicizia è forse basata sulla fuga dalla realtà, sul divertimento inteso come pura evasione, sull’idea che la solitudine debba essere evitata a ogni costo, anche al prezzo di considerare l’apparenza e la superficialità come valide e uniche alternative?La risposta è certamente no! Tutti loro sono consapevoli di essere uomini di mezza età che probabilmente hanno già vissuto la loro vita e tutti loro sono consapevoli di comportarsi spesso come adolescenti. In questa loro consapevolezza condivisa sta la base della loro amicizia.Su questa coscienza profonda della vita che passa è costruita la loro solidarietà, la loro sfida quasi sempre vinta alla solitudine. È l’esatto contrario di come concepiscono il divertimento i giovani d’oggi.Mi viene in mente Pirandello. Pensiamo a quando nel saggio “L’umorismo”, il grande scrittore siciliano fa l’esempio di una signora avanti con gli anni che però si è truccata come una ragazzina. Osservandola saremo presi da una sensazione di ridicolo e avremo voglia di ridere. È l’avvertimento del contrario. Ma se riusciremo a superare la prima sensazione, se cercheremo con la coscienza di riflettere su quella signora ormai lontana dai suoi anni giovanili eppure disperatamente alla ricerca di una bellezza ormai persa, proveremo forse per lei un sentimento di comprensione e solidarietà per il suo dramma. È il sentimento del contrario.Forse il mio ragionamento è un po’ ricercato ma a me piace pensare che ciascuno degli attempati signori di “Amici Miei” sia contemporaneamente, per seguire l’esempio di Pirandello, la signora avanti con gli anni e l’osservatore esterno sempre disponibile ad andare oltre la prima impressione per raggiungere la riflessione e il sentimento del contrario. La loro forza sta nella loro capacità di guardarsi e di vedere chi sono.La loro amicizia è l’espressione di una profonda coscienza delle loro vite, di ciò che sono veramente. Forse non sono nessuno.“Ma poi è proprio obbligatorio essere qualcuno?” dice il Mascetti al funerale del Perozzi.
Accidenti sono rimasto a fantasticare sul lungarno della Zecca Vecchia e intatto il Mascetti e la Titti mi hanno lasciato indietro. Provo a raggiungerli. Sono dietro di loro. Il Mascetti parla, la Titti sta sempre zitta. Ma chi è questa Titti?Secondo me è l’unico personaggio veramente negativo di “Amici Miei”. Non tanto perché, ma forse sarebbe meglio dire non solo perché, è la classica figlia di papà, piena di soldi e non in grado di riconoscere la propria condizione di privilegiata, ma soprattutto perché esprime una assoluta mancanza di coscienza delle proprie azioni e della vita che conduce. Dall’avventura omosessuale alla relazione con un uomo che potrebbe essere suo padre, il Mascetti appunto, ogni sua azione è tesa a trasgredire senza riflettere. L’esatto opposto del gruppo di amici.Non è forse la Titti un’amara anticipazione della ricerca sfrenata di apparenza e trasgressione così di moda ai giorni nostri?
Ecco che il Mascetti ha finito il discorso. La vuole davvero lasciare!“Addio Titti”“Addio m….o, ci si vede domani al solito posto a mezzogiorno”.
A me questa è antipatica!Mi appello a te straordinario Ugo Tognazzi, grandissimo Mascetti, non lasciare a lei l’ultima parola!
Ecco che il Mascetti la surclassa con l’ennesima geniale battuta cambiando l’ora dell’appuntamento con un gioco di parole di cui lei nemmeno si accorge.
“No, alla mezza! A mezzogiorno ho un pignoramento”.
Caro Mascetti, ti lascio contento di averti seguito per un po’ stasera con la presunzione di averti capito un po’ meglio e con la gioia di sentirmi davvero anch’io un po’ parte del tuo meraviglioso gruppo di amici.
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