Nato a Beirut nel 1949, nella comunità dei cristiani melkiti, emigrato in Francia nel 1976, Amin Maalouf ha abbandonato la sua professione di giornalista per dedicarsi interamente alla letteratura. Di lingua araba e cultura francese, egli è autore di circa 10 romanzi (tradotti in più di 20 lingue) ambientati nel Medio Oriente, in Africa o nel Mediterraneo. Ha ricevuto il premio Goncourt nel 1993 per “La roccia di Tanios”. Incontro con un autore le cui opere cercano sempre di intrecciare legami di coesistenza tra il mondo orientale e quello occidentale.
(a cura di Maryam Touzani)
Una personalità “al confine tra due paesi, due o tre lingue, numerose tradizioni culturali” come lei stesso ha scritto: qual è la sua idea di dialogo interculturale?
Per me, il dialogo tra due culture non è uno scambio tra gruppi, ma soprattutto una scambio tra individui. Le culture non sono entità distinte, esistono solo attraverso le persone che le rappresenta, che non sono mai identiche. In un Paese, individui portatori di varie culture spesso coabitano in una stessa città, in un quartiere, una scuola, un’azienda. E’ nella loro capacità di convivere, ascoltarsi reciprocamente, influenzarsi, che risiede il dialogo delle culture.
A che punto è, secondo lei, la reciproca comprensione tra i paesi europei e quelli del bacino del Mediterraneo del sud e dell’est?
Il suo livello mi sembra il più basso di sempre. Sento che l’incomprensione tra questi due mondi non è mai stata così profonda. Ci vorrebbero pagine e pagine per spiegare le ragioni di ciò, ma è chiaro che il mondo arabo-musulmano sta attraversando uno dei periodi più oscuri della sua storia, e che l’Occidente, dalla sua, sembra aver perduto molto della sua credibilità morale, e non crede più molto nei suoi stessi ideali.
L’arte, gli artisti, possono essere il motore di un dialogo interculturale o sono semplici specchi di evoluzione più globale?
Credo effettivamente che gli artisti giochino un ruolo essenziale nel ravvicinamento dell’Occidente al mondo musulmano, degli Ebrei agli Arabi. Idealmente, sarebbe necessario abbozzare un’amicizia tra artisti mediterranei, che potrebbero contribuire alla soluzione dei problemi. Questo obiettivo è solo un desiderio, è ovvio che non sarà tanto presto, nonostante molta gente lavori in questa direzione.
L’immagine, in particolare il cinema, avere un ruolo decisivo nello sviluppo della comprensione reciproca o al contrario incoraggia stereotipi e caricature?
L’immagine, come la musica e la letteratura, è uno strumento che può essere usato al servizio delle più nobili ragioni ma anche delle più dubbie. Per rispondere direttamente alla domanda, è chiaro che alcune opere audiovisive contribuiscono al ravvicinamento e alla mutua comprensione. Ma tante altre opere non fanno che ripetere luoghi comuni. Sia perché i loro autori non sono liberi di esprimersi, sia perché le loro convinzioni personali li spingono a perpetuare incomprensioni, odio e paura.
Quali sono gli ostacoli principali all’emergere di una reale dialogo interculturale tra i Paesi del Mediterraneo?
Non sento di dover considerare queste questioni in termini di ostacoli. Penso che il mondo arabo abbia bisogno di tempo per riflettere sul suo passato, il suo futuro, il suo posto nel mondo, la sua relazione con la modernità, il suo rapporto con la religione, la libertà, la cittadinanza, la vita privata ecc. E anche l’Occidente deve pensare al suo ruolo riguardo all’internazionalizzazione, l’uso del potere, ai suoi rapporti con gli altri. Mi sembra che entrambe le sponde del Mediterraneo avrebbero bisogno di riconsiderare radicalmente la nozione di identità.
Ricorda un episodio che illustri un esempio di dialogo, sia da un’angolazione positiva che negativa?
Non ho un episodio preciso in mente, ma niente mi rallegra di più che incontrare un’orchestra, una compagnia teatrale, o anche un gruppo d’amici, provenienti da Paesi differenti, religioni o etnie diverse, per vedere come stanno assieme, come si considerano fratelli e sorelle, si divertono e mangiano assieme, nonostante le loro differenze. Sono loro che prefigurano il futuro, che rappresentano la luce in anni tenebrosi.