Amir intervista Pascal Tessaud, il regista di “Brooklyn”

Creato il 12 settembre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Ciao Pascal, piacere di conoscerti, premetto che non sono un giornalista ma un rapper, e penso che qui in Italia non ci sia persona migliore con cui tu possa fare una chiacchierata sul tuo film.

Devo essere sincero…quando mi hanno chiesto di intervistarti ho pensato subito che il film fosse un 8 mile in stile francese, ma ho avuto la sorpresa di trovarmi davanti a un piccolo capolavoro che spiega in sintesi l’arte del “giocare con le parole” tra Rap e Slam Poetry,  collocando il tutto al centro di una società piena di contraddizioni, in cui ragazzi delle borgate, che vengono da famiglie che arrivano con fatica alla fine del mese, esaltano il potere e il materialismo come unico obiettivo da raggiungere per sentirsi realizzati.

Ammetto di essermi emozionato, e mentre lo guardavo ho rivissuto dei momenti della mia vita. Casualmente uno dei personaggi principali si chiama Issa (il mio cognome è Issaa) e la storia si svolge in un centro giovani, in cui un laboratorio di Rap aiuta ragazzi ad esprimersi, e casualmente proprio da qualche mese ho terminato, dopo un anno, un ciclo di incontri in scuole e centri giovani, per un progetto molto simile che si chiamava Potere alle Parole, e di cui sono direttore artistico.

Spiego a Pascal che in Italia il rap non è ancora al livello della Francia (seconda nazione al mondo dopo l’america a livello di vendite e diffusione del genere). Gli racconto delle mie esperienze discografiche e ridiamo sul fatto che una delle poche canzoni rap Italiane che mi dice di conoscere è “Papa Nero” dei Pitura freska.

Pascal Tessaud

Cosa volevi comunicare con “Brooklyn”? lo definiresti un film sul rap?

E’ un film sul Rap, ma soprattutto sul liberalismo e il capitalismo che è arrivato ormai anche nelle borgate , e il mio film vuole essere una visione di questa forma di resistenza arcaica, perché il rap che ho mostrato non è quello mainstream, che si sente in televisione o alla radio e che ormai ha perso il suo messaggio originale che era anche quello di essere la voce delle periferie. Dieci anni fa tutti i rappers in francia potevano essere considerati un seguito dei  Public Enemy, o Krs-One, ma adesso pensano unicamente ad esaltare la loro vita di lusso, droga e cazzate alla Rick Ross (un famoso rapper americano). Rapper come Booba (il rapper più noto attualmente in francia) nelle borgate oggi sono modelli di successo seguiti dai giovani, e c’è stato sicuramente un cambio politico anche in questa direzione, e gli storici I Am hanno pubblicato da poco una canzone che parla proprio di questo fenomeno e si chiama Rap de droite. La maggior parte dei rapper prima erano di sinistra e venivano da famiglie operaie, ormai non è più così. Prima era un genere musicale che veniva schifato dai bianchi francesi del centro di Parigi, e nessuno si sarebbe mai azzardato ad invitare un rapper in un prime time televisivo, e oggi i rapper che vanno per la maggiore fanno tanto i duri, ma in realtà hanno successo perché non parlando più di problemi sociali, e avendo abbandonato il loro ruolo di portavoce del ghetto, sono diventati innocui e più vendibili. Non fanno di certo paura ai piani alti, cosa che prima avveniva ed era la norma.

Come è stato prodotto “Brooklyn”??

Nessuno in Francia vuole produrre un film con neri e arabi che parli realmente del ruolo che ha il rap nelle borgate. La società francese è profondamente razzista, e spontaneamente sta nascendo un nuovo modo di raccontare la realtà. Tanti altri registi come me si stanno dando da fare per ribaltare le regole del mercato, e con pochi mezzi e delle buone idee stanno facendo una piccola “rivoluzione cinematografica”. “Brooklyn” è un film nato dal basso, ho investito solamente seimila euro fregandomene di tutte le regole che ci sono attualmente in Francia per fare cinema, e senza stare ad aspettare nessuno, avevo l’esigenza di farlo e grazie all’aiuto di  amici e a persone che hanno prestato il loro talento perché credevano nel progetto sono riuscito a metterlo in piedi, e stiamo avendo un ottimo riscontro in tutti i festival.  Anche Issa e la protagonista (la rapper Brooklyn) sono dei rapper veri che si sono improvvisati attori, nessuno è un professionista, è un film totalmente vero.

Il titolo?

Il titolo è chiaramente una provocazione. “Ah ok, ci dite che vogliamo fare gli americani?”. Lo chiamo “Brooklyn”, e vuole essere una critica al fatto che tutti ci vogliono “americanizzare” e danno per scontato che la cultura Hip Hop essendo nata negli stati uniti sia americana. Per me l’hip hop non è una cultura americana, ma è una cultura proletaria, e dunque è riuscita a radicarsi in tanti altri paesi come il Brasile, la Germania o l’Italia ed è la cultura del popolo. E’ nata nel Bronx ma l’inizio è un inizio sociale. Non avevano niente, non erano al centro del potere dell’industria musicale, non potevano studiare e di conseguenza imparare a suonare uno strumento, dunque hanno inventato un’altra cultura.

Amir Issaa

Penso che l’immigrazione abbia avuto in Francia un ruolo fondamentale anche nello sviluppo della cultura Hip Hop. Tu cosa ne pensi?

I miei nonni e mio padre stesso erano operai in una fabbrica, e io ho sempre rifiutato di appartenere alla cultura ufficiale francese, mi fa schifo, ha una visione profondamente arrogante e se ne frega delle periferie, dell’immigrazione e del melange culturale. E’ una cultura vecchia bianca e aristocratica. Io sono nato in un ambiente popolare, dove nessuno sente il bisogno di seguire un modello. Noi siamo una nuova generazione con influenze internazionali, e la cultura Hip Hop ha trovato qui un terreno fertile per mettere delle radici, e sicuramente è una cultura di resistenza che abbiamo preso e fatta nostra. E’ la nostra cultura. Il continuare a pensare che non sia parte della Francia ma una sub-cultura importata dagli stati Uniti è un errore. Anche se di certo preferisco un regista americano come Spike Lee a qualsiasi regista Francese.

Io e tanti altri miei amici siamo cresciuti con il mito de “La Haine” di M. Kassovitz, sicuramente tra i miei film preferiti. Come è stato vissuto da voi in Francia?

Posso farti una critica al film La Haine spietata. Quel film non ha rappresentato realmente uno spaccato della società francese, prima di tutto perché il regista era semplicemente un “turista” che veniva dal centro, e ha visto da lontano le banlieue e le ha dipinte come meglio credeva, senza preoccuparsi minimamente di essere credibile agli occhi degli abitanti stessi delle periferie, che non hanno accolto benissimo l’uscita del film, anche perché nella sceneggiatura non ci sono ragazzi che studiano, le donne si vedono di rado e in occasioni spiacevoli, e per voi l’idea che è scattata è stata quella che le periferie di Parigi siano abitate da ragazzi che non hanno voglia di fare niente, e che siano pronti a fare rivolte da un momento all’altro.

C’è un regista o un film che puoi considerare un tuo punto di riferimento?

Sicuramente Shadows, un film americano del 1959 diretto da John Cassavetes, che fu realizzato senza soldi e coinvolgendo personaggi reali, e che cambiò totalmente le regole dando vita alla New Hollywood a cui si sono ispirati anche registi come Scorsese e Coppola, per citarne alcuni.

So che sarai ospite a Milano al Milano Film Festival, hai anche in programma una proiezione a Roma?

Non ancora ma sarebbe un piacere venire a Roma, dove tra l’altro hanno lavorato tanti registi che apprezzo moltissimo tra cui il genio Pier Paolo Pasolini.

Amir Issaa


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