Il regista è talmente abile nella gestione dei registri (si passa dal melodramma alla fantascienza senza soluzione di continuità, e sempre con un carico superlativo di poesia ed equilibrio) da creare un amalgama perfetto in grado di farci sentire ciò che sente il protagonista. La sequenza d'apertura, con un Phoenix intento a dettare, sguardo fisso sullo spettatore, una delle struggenti lettere che è pagato per scrivere, ci prende per mano e ci accompagna lungo un toccante e originalissimo viaggio sentimentale in una Los Angeles estremamente high-tech, dove chiunque vive in simbiosi perenne con smartphone, auricolari e videogame virtuali.Ma tutto, in questo film, è incredibile. Dalla magnifica colonna sonora degli Arcade Fire alla calda fotografia pastello di Hoyte Van Hoytema, passando per l’ennesimo ruolo da non protagonista per una sempre troppo sottovalutata Amy Adams, qui struccata, spaesata, delusa dall’amore e legata ad una vecchia amicizia col protagonista. Ma il fulcro è Phoenix. Dire che l'attore è in uno stato di grazia risulta definizione addirittura riduttiva: Phoenix è decisamente il motore dell'intero progetto, in ogni singola scena la sua bravura dirompe con grazia ed empatia riuscendo magnificamente a manifestare ora con uno sguardo ora con un tic i suoi dubbi, i suoi tormenti, il suo candore e il bagaglio di rimpianti che gli zavorrano l'esistenza. La capacità dell'attore di aderire al personaggio è totale, soprattutto nell'esprimerne in maniera naturale la solitudine e (l'auto)isolamento.
Il regista è talmente abile nella gestione dei registri (si passa dal melodramma alla fantascienza senza soluzione di continuità, e sempre con un carico superlativo di poesia ed equilibrio) da creare un amalgama perfetto in grado di farci sentire ciò che sente il protagonista. La sequenza d'apertura, con un Phoenix intento a dettare, sguardo fisso sullo spettatore, una delle struggenti lettere che è pagato per scrivere, ci prende per mano e ci accompagna lungo un toccante e originalissimo viaggio sentimentale in una Los Angeles estremamente high-tech, dove chiunque vive in simbiosi perenne con smartphone, auricolari e videogame virtuali.Ma tutto, in questo film, è incredibile. Dalla magnifica colonna sonora degli Arcade Fire alla calda fotografia pastello di Hoyte Van Hoytema, passando per l’ennesimo ruolo da non protagonista per una sempre troppo sottovalutata Amy Adams, qui struccata, spaesata, delusa dall’amore e legata ad una vecchia amicizia col protagonista. Ma il fulcro è Phoenix. Dire che l'attore è in uno stato di grazia risulta definizione addirittura riduttiva: Phoenix è decisamente il motore dell'intero progetto, in ogni singola scena la sua bravura dirompe con grazia ed empatia riuscendo magnificamente a manifestare ora con uno sguardo ora con un tic i suoi dubbi, i suoi tormenti, il suo candore e il bagaglio di rimpianti che gli zavorrano l'esistenza. La capacità dell'attore di aderire al personaggio è totale, soprattutto nell'esprimerne in maniera naturale la solitudine e (l'auto)isolamento.
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