Amore e sesso nel cinema di Koreeda Hirokazu: “argomento-fantasma” o omaggio alla tradizione? Il caso di Aruitemo Aruitemo.
Creato il 02 giugno 2011 da Makoto
@makotoster
A prima vista nei film di Koreeda (almeno fino a Kūki Ningyo (Air Doll) del 2009) l’argomento
amoroso/erotico sembra essere una sorta di tema-fantasma, qualcosa che può
eventualmente coinvolgere i personaggi mentre si stanno occupando di altro
(memoria, perdita di persone care, conflitti generazionali…).
Quando
però ci si addentra nell’analisi dei suoi film, si scopre che amore/sesso è un
tema costante, che attraversa l’intera produzione del regista, strettamente
connesso ai suoi temi preferiti. Se ne ritrovano testimonianze in tutti i suoi
film, e del resto non potrebbe che essere così, data la profonda sensibilità di
Koreeda nel descrivere emozioni e sentimenti.
Prendiamo ad esempio Aruitemo aruitemo (Still Walking), diretto da Koreeda nel 2008,
meraviglioso ritratto dell’intreccio di tensioni all’interno di una famiglia
giapponese. La storia ricostruisce una giornata trascorsa insieme dai membri
della famiglia: Ryota e sua sorella Chinami, entrambi con le rispettive
famiglie, vanno a trovare gli anziani genitori, per celebrare insieme
l’anniversario della tragica morte del loro fratello Junpei. Il film è un
classico esempio di home drama giapponese,
per certi versi più affine forse alla cinematografia di Naruse Mikio - come
sottolinea Trevor Johnston nella sua recensione in Sight & Sound - per una
rappresentazione più tagliente dell’angoscia dei personaggi, che non a quella
di Ozu Yasujirō. L’opera da una parte riflette sul passare del tempo e sulle
sue conseguenze, sul senso nostalgico del “ritorno a casa”; dall’altra ci
mostra i diversi componenti del nucleo familiare alle prese con nodi di dolore
mai sciolti.
Due le sequenze emblematiche sulle quali mi sono
soffermata.
La prima è quella di apertura del film. Chinami e la
madre stanno pulendo le verdure che serviranno per la preparazione del pranzo.
La scena è senza dubbio un tributo a Ozu: le donne stanno appunto pulendo una
carota e un daikon (un grosso tubero
dalla forma allungata), le due verdure del titolo del film Daikon to ninjin (Daikon e carote) che avrebbe dovuto essere
l’ultimo film girato da Ozu. Mi ha colpita, in primo luogo, che si trattasse di
un chiaro omaggio al grande maestro, in secondo luogo che, specialmente le
riprese ravvicinate delle mani della figlia, richiamassero alla mente una
gestualità erotica.
Ho ripensato allora a quanto mi era capitato di leggere in
un bellissimo libro di Yoshida Kiju, “Ozu’s anti-cinema”, a proposito del modo
in cui Ozu affrontava eventuali rappresentazioni di implicazioni sessuali tra i
suoi personaggi. In uno dei suoi film, Banshun (Tarda primavera, 1949), decise di inserire la ripresa fissa di un vaso in una
sequenza riguardante un padre e la figlia, per evitare che gli spettatori
pensassero ad un incesto (la scena si svolge in una stanza d’albergo nella
quale i due passano insieme la notte durante un viaggio a Kyōto). Koreeda, nel
suo tributo d’apertura a Ozu, non solo evoca il titolo del film non realizzato
dal maestro, ma mette in atto anche lo stesso meccanismo di Ozu con la ripresa
del vaso, in un certo senso, “al contrario. In un momento di attività in
cucina, che in linea di massima non sembra indurre a pensieri di sesso,
inserisce un’immagine che chiaramente li evoca. Quest’operazione ha, a mio
avviso, un doppio significato: conferma la volontà del regista di offrire il
proprio tributo ad un maestro del passato e, allo stesso tempo, introduce fin
dall’inizio una chiave interpretativa dell’intero film di carattere
erotico/sessuale.
Non è l’unica sequenza del film di questo tipo.
Ad un certo punto della serata, mentre stanno
cenando, la madre di Ryota decide di far ascoltare a tutti il disco di una
canzone pop degli anni Sessanta, “Blue Light Yokohama”. Il ritornello della
canzone è in giapponese aruite mo aruite
mo (il titolo del film, appunto). Osservando la scena si può solo
presumere, in prima battuta, che si tratti di una canzone che ricorda momenti
romantici alla coppia di anziani. Qualche scena dopo, però, diventa chiaro che
l’intento della donna è un altro. La canzone è infatti quella che la madre di
Ryota aveva sentito cantare al marito mentre l’uomo si trovava nella casa
dell’amante: con quella canzone la moglie intende allora sottolineare la
propria sofferenza per il tradimento del marito. La scena della “rivelazione”
ha luogo mentre il padre sta facendo il bagno, la moglie entra nella stanza –
non vediamo il suo volto perché la figura rimane sfocata dietro ad un vetro – e
svela al marito che lo aveva seguito fino all’appartamento dell’amante e lo
aveva sentito cantare quella canzone; noi vediamo l’espressione del volto
dell’uomo, che rivela come in quel momento si renda conto di quanto la
relazione con l’altra donna abbia pregiudicato il rapporto con la moglie.
A mio
parere Koreeda ci dà qui un indizio per risolvere l’”enigma” del film: il
titolo del film aruite mo aruite mo
non è soltanto connesso all’idea dello scorrere del tempo, ma anche ad un
passato torbido che offusca la limpidezza dell’intera vita della coppia. Tutto
il film, questo magnifico ritratto familiare, sembra allora proporsi per
un’interpretazione diversa, confermata dalla sequenza iniziale. [Claudia Bertolè]
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