Amy – The girl behind the name, diretto da Asif Kapadia, già vincitore del premio BAFTA con Senna (il film dedicato al celebre pilota di Formula Uno), è un documentario che non ha nulla di speciale. Ma emoziona. E questo è quanto basta.
Amy – The girl behind the name all’apparenza è un documentario comune, come tanti altri, ma che dentro nasconde molto. Si comporta un po’ come la sua protagonista, Amy Winehouse, che, almeno dal suo personale punto di vista, non aveva nulla di speciale. Proprio come la grande cantante jazz scomparsa nel 2011 a soli 27 anni per cause ancora non completamente accertate, Amy parte piano ed è un crescendo, di successo, di bellezza, di emozione. Amy voleva solo cantare, fare della musica per tutta la sua vita, e non si rende conto di diventare una star, una delle più grandi degli anni Duemila. Il documentario di Kapadia si comporta allo stesso modo: è umile, semplice, genuino, non ha bisogno di trovate registiche per farsi sentire, per “cantare”. Simpatica, esuberante, spericolata, vera. Questa era Amy. Ecco, il documentario funziona perché è vero, perché ricalca la personalità della sua protagonista.
Amy – The girl behind the name sposa i sentimenti della cantante, li trasforma in film, anche grazie alla scelta di far (ri)emergere la vita dai testi delle canzoni scritte dall’artista di Back to black. Amy è semplicemente musica, parole e immagini. Niente di più, niente di meno. Quanto basta per emozionare.
Vota il post