Pubblicato da Lello Stelletti il 23 febbraio 2012 · Lascia un commento
Continua l’analisi sull’economia iraniana scritta in collaborazione con il centro studi Geopolitica.info. Oggi vi proponiamo la seconda e ultima parte dell’approfondimento. Per leggere la parte precedente puoi cliccare qui.
Alcune banconote del rial iraniano, la valuta ufficiale di Teheran
Le sanzioni attualmente imposte alla Repubblica Islamica non impongono divieti alla maggior parte dei settori del commercio iraniano non petrolifero. Questi, però, potrebbero comunque soffrire di alcune manovre alternative spesso utilizzate dall’Occidente, come leggi anti-riciclaggio del denaro che scoraggino le banche di tutto il mondo dal finanziare imprese affari con l’Iran. Questo ostacolo può comunque essere aggirato. Le attività di esportazione di Teheran, infatti, potrebbero fare maggiore affidamento sui costosi intermediari asiatici, oltre a quei Paesi vicini che non hanno firmato l’appoggio a sanzioni severe. Il caso dell’Iraq, in questo senso, è decisamente emblematico.
Accomunando, comunque, un potenziale calo per esportazioni non petrolifere a quello delle spedizioni energetiche, la stima proposta dal Fondo monetario internazionale potrebbe scendere di altri 7 miliardi di dollari. Sommando questo contraccolpo a quello precedentemente esposto si arriva a un calo di 31 miliardi di dollari, il 6,5% del Pil. In questo caso, i dati indicano una controtendenza: se il Fmi ha fatto una proiezione di crescita per l’economia iraniana del 2,5% per l’anno in corso, con questo doppio colpo e tenendo conto anche dell’inflazione che ne deriverebbe, si potrebbe tranquillamente identificare l’economia di Teheran in netta recessione, anche se comunque lontana da pesanti battute d’arresto.
Nel lungo periodo, inoltre, i danni alle esportazioni energetiche potrebbero mettere in seria difficoltà l’Iran. La comunità internazionale, col passare del tempo potrebbe aumentare i divieti sulla vendita di attrezzature all’industria petrolifera di Teheran, rendendo così difficile la sostituzione delle parti usurabili deterioratesi col tempo. Questa possibilità, però, potrebbe essere scongiurata attraverso un determinato sforzo per favorire un fiasco delle sanzioni stesse nel lungo periodo.
Questa condizione, per ora ipotizzata, ma possibile influenzerà seriamente il bilancio statale. Il petrolio fornisce circa due terzi delle entrate dello Stato, che potrebbe trovarsi con i fondi contati qualora l’entità delle sanzioni dovesse aumentare. Se nelle stime del Fmi, l’Iran avrebbe dovuto presentare un surplus sul budget del circa il 2,8%, la caduta dei proventi del greggio, in congiunzione con i tagli del gettito fiscale a causa del rallentamento dell’economia, potrebbero convertire questi dati in deficit dell’oltre 2% sul Pil del prossimo anno fiscale.
Una situazione simile potrebbe risultare complessa da gestire per un governo fortemente indebitato. Teheran, però, è finanziariamente forte e il debito pubblico lordo corrisponde al solo 9% del Pil, un dato notevolmente confortante se si considerano i livelli prossimi al 100% di molti Paesi membri dell’Unione europea. Un basso indebitamento significa anche una maggiore capacità di finanziare il deficit del saldo di bilancio grazie alla vendita di titoli di Stato e obbligazioni.
La maggiore vulnerabilità nell’economia iraniana si riscontra nel legame tra il bilancio dei pagamenti, la moneta e l’inflazione. Sempre seguendo la stima del Fondo monetario internazionale, nel corso di quest’anno l’Iran dovrebbe ottenere un surplus nel bilancio dei pagamenti di 31 miliardi di dollari, ma il calo dei proventi delle esportazioni potrebbe cancellare questo avanzo per il prossimo anno, o addirittura spingere Teheran a un deficit verso l’estero.
In condizioni normali, l’Iran potrebbe coprire il passivo con le proprie riserve valutarie, stimate in 104 miliardi di dollari, frutto delle attività della Banca centrale iraniana all’estero. L’Ue ha inviato sanzioni per congelare tutti gli affari iraniani con banche centrali sotto la sua giurisdizione, ma nonostante ciò, a Teheran hanno avuto il tempo sufficiente per spostare le proprie riserve lontano dall’Europea e da altri alleati fedeli a Washington.
A complicare questo quadro c’è, però, l’aumento dell’inflazione iraniana. Il tasso di inflazione è passato, infatti, da quote a una sola cifra a un tasso circa del 20% negli ultimi 18 mesi. Un dato che molti analisti smentiscono, ritenendolo notevolmente più alto. Questo innalzamento è dovuto principalmente alle riforme economiche riguardanti il settore energetico e i sussidi alimentari di fine 2010, oltre, ovviamente, alla presenza delle sanzioni che ha fatto salire i costi delle importazioni.
A sua volta, legata all’inflazione è la svalutazione del rial iraniano, la valuta ufficiale della Repubblica Islamica. Il rial è ha raggiunto un tasso sopra i 20 mila rispetto al dollaro il mese scorso, quando un anno fa si assestava a circa la metà della quotazione attuale. Questo fenomeno economico rischia di accelerare il deflusso di capitali dall’Iran in cifre notevolmente superiori agli 11 miliardi di dollari previsti dal Fmi, cancellando molto rapidamente le riserve straniere. Inoltre, potrebbe favorire l’inflazione sui prodotti di importazione.
L’Iran in passato ha dimostrato di saper gestire un alto tasso di inflazione, nel 2008/09 superava il 25%, e grazie al valore delle importazioni, circa il 16% del Pil, il deprezzamento della valuta non dovrebbe necessariamente comportare anche un aumento dell’inflazione stessa. Il rischio, però, è che siano proprio le imprese iraniane a farsi condizionare dal ragionamento ovvio per cui se le aspettative parlano di una moneta debole, l’innalzamento del tasso di inflazione sia un fatto immediatamente susseguente.
Dopo mesi di passività, le autorità iraniane hanno agito in maniera aggressiva a fine gennaio per cercare di stabilizzare il rial, abbassando i tassi di interesse sui depositi bancari a lungo termine: da un tasso del 21% si è scesi a una media del 12,5-15,5%, decisamente più accettabile. Queste misure hanno aiutato a far calare la pressione sulla moneta, ma le sanzioni potrebbero farla salire nuovamente nel corso di quest’anno. Ed è proprio su questo punto che la comunità internazionale dovrebbe intervenire se vuole davvero minare al sistema economico iraniano.
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