ANATHEMA – Distant Satellites (Kscope)

Creato il 18 giugno 2014 da Cicciorusso

Mentre stavo buttando giù il pezzo di anteprima su Distant Satellites, un po’ incredulo nel constatare che The Lost Song – Part 3 non riuscisse a trasmettermi pressoché niente, né calore né particolare gioia di vivere, già cercavo di pensare a come avrei dovuto impostare la successiva recensione qualora il disco non si fosse rivelato all’altezza del precedente. Togliamoci subito questo dente: ebbene no, non è all’altezza ma non tutto è perduto e cerchiamo di capire perché. Né calore né particolare gioia di vivere… Dunque, l’anticipazione consisteva in un brano freddino che, complice una ritmica poco convincente riscontrabile anche in altri parti dell’album, lasciava presagire un minor coinvolgimento emozionale. Come abbiamo ben sperimentato su noi stessi, Weather Systems era tutto un tripudio di bellezza e amore. Avendo approfondito con attenzione mi sento di dire che parecchia di quella magia, diciamo presente anche negli ultimi tre dischi, viene a mancare.

Di base non è che Distant Satellites si discosti poi tanto dal sound caratteristico di questi ultimi ‘anathemici’ anni, solo che accentua certe caratteristiche che diventano quasi tendenza. Non voglio fare il bastian contrario ma quando una caratteristica diventa tendenza io tendo ad assumere posizioni di difesa: la melodia tende a diventare mielodia (con gli obbligatori distinguo, tipo Ariel, che però sfigura di fronte a qualsiasi ballata strappalacrime da We’re Here Because We’re Here o da Natural Disaster), i tempi lenti diventano tempi fermi e i silenzi di sospensione riempitiva dei vuoti. Prima di tirare le somme cominciamo a segnarci questo: freddo e lento. Tra i commenti all’anteprima utilizzaste in modo condivisibile i verbi smorzare e mancare. Una cosa che tendo a non fare è leggere le recensioni degli altri ma quando lo faccio è perché devo tranquillizzarmi sul fatto che il pensiero comune sia sempre allineato con se stesso; invece (e beccatevi pure ‘sta ruffianata), in generale, tengo in maggior considerazione i commenti dei lettori di questo blog. Il pensiero comune odierno pare uniformato su giudizi che vanno dal grandioso all’estatico, quindi lì fuori tutto scorre acritico come al solito e sembra che grazie alla doppietta ultraterrena di Untouchable i Cavanagh abbiano guadagnato un jolly da usare nei momenti di difficoltà come questo, tipo la Ruota della Fortuna. Un momento di difficoltà? Se vi sembro troppo duro nei confronti degli Anathema, lo faccio in buona fede avendo, come sempre d’altronde, aspettative elevatissime che mai, o quasi, vengono disattese. Più che estatico, invece, il mio giudizio è: statico.

Allora ricapitoliamo: freddo e lento, smorzare e mancare, statico. Cominciamo a tirare le somme. In quell’intervista di cui vi parlammo, Danny diceva che il nuovo disco sarebbe stato ‘uno strano mix di roba elettronica e materiale più classico’ e ora capisco pienamente cosa intendesse per ‘classico’ e la cosa non mi affascina, per quanto non possa non affermare che i pezzi in questione siano pure belli se presi da soli. Non so voi come la pensiate (a questo punto mi interessa saperlo) ma la mia opinione sull’ultimo lavoro degli Anathema rimane ancora abbastanza contrastante. Avrei preferito sicuramente perdermi di nuovo nelle emozioni di WS e non è andata così. A volte, invece, tende a deconcentrarmi. Ecco, e forse è qui il punto della questione, Satellites non coinvolge totalmente. Sul perché non saprei dire, forse hanno accelerato troppo i tempi e forse serviva un altro po’ di riflessione per riconquistare l’ispirazione. Resta il fatto che, tra i gruppi che più hanno cambiato stile negli anni, gli Anathema si confermano essere tra i migliori e i più coerenti. Tornando alle affermazioni di Danny, l’elettronica c’e e, vi dirò, rappresenterebbe anche la parte più interessante dell’album se non fosse che, invece degli Anathema, pare di ascoltare i Radiohead. Infatti mi affascinano di più pezzi come You’re Not Alone e la title track che quelli ‘classici’ ma i ‘difetti’, o i mancati pregi, di questo disco sono talmente evidenti che mi è veramente impossibile parlarne in toni maggiormente elogiativi. Ed è un peccato perché certe intuizioni, tipo la parte finale di Dusk (uno dei rari momenti da brividi), avrebbero meritato un contesto migliore in cui inserirsi. Per chi li scopre adesso, probabilmente questo sarà un disco da dieci e lode; decisamente non per me. La tendenza generale del 2014, fino ad ora, è veramente penosa e, nonostante creda questo sarà il capitolo degli Anathema che meno ascolterò in futuro, è possibile che anche un disco non riuscitissimo arriverà a conquistarsi comunque un suo posto di rilievo. (Charles)



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