Era O’Rey di Crocefieschi, come lo soprannominò Gianni Brera. Un campione in formato bonsai, insomma. Uno di quelli che talvolta ti danno da pensare al fuoriclasse, ma poi ti ricordi che si chiama Roberto Pruzzo, e pensi che quella qualifica spetta ad altri.
Ma non per questo era un attaccante trascurabile. Al contrario, il brontolone ligure che nel 1978 lasciò il Genoa per portare i suoi folti baffi a Roma diventò capocannoniere del campionato per ben tre volte, trovandosi ad essere il gran finalizzatore di quel piccolo gioiello giallorosso messo in piedi da Nils Liedholm.
Forte di testa, Pruzzo era il prototipo dell’attaccante di rapina. Non aveva una particolare prestanza fisica, né grandi doti tecniche. Ma quando si trovava in area, la difesa avversaria sapeva che l’imprevedibile poteva essere dietro ogni angolo. E durante la sua permanenza nella capitale quell’imprevedibile si concretizzò per ben centosei volte, e solo Francesco Totti, anni dopo, sarebbe stato in grado di fare meglio.
Insomma, non era certo O’Rey, ma un gran realizzatore sì. E non per nulla Gianni Brera, oltre a paragonarlo ironicamente ad un Pelé minore, lo ribattezzò anche il Bomber. Un modo per rendere omaggio ad un fiuto per il gol di quelli che raramente si incontrano sul campo da gioco.