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Anatomia di un romanzo. La cultura che si vende a chili (e chi è povero ne acquista pochi etti)

Creato il 12 ottobre 2012 da Patriziabi (aspassotrailibri) @openars_libri

La cultura che si vende a chili (e chi è povero ne acquista pochi etti) (dello scrittore Gianpietro Scalia)

In questi giorni riflettevo in merito alle mie ultime letture.
Veramente deludenti, ma non a causa della scrittura, che al contrario ho trovato spesso molto interessante, quanto piuttosto per le tematiche in essa sviluppate. Ho letto prevalentemente autori italiani, quasi completamente autori contemporanei. Mi sono sorpreso a riflettere che una notevole quantità di testi risponde inevitabilmente a una sorta di traccia invisibile, sulla quale l’autore si interroga e pone delle risposte. Le risposte dei vari autori in linea di massima mi sono piaciute, alcune volte addirittura moltissimo, spingendomi a mia volta a interrogarmi sulle stesse tematiche.
Eppure l’idea di una letteratura monotematica mi sembra rappresenti un limite per certi versi increscioso.
Una volta, scrivendo un articolo e prendendo in prestito una definizione di un autore sudamericano, ebbi modo di parlare di monocultura: l’equivalente, in letteratura, di quel che per una società, in agricoltura, è la dedizione e lo sviluppo di un unico prodotto alimentare. Trovandomi in sintonia con quanto affermava questo autore, si potrebbe dichiarare che la monocultura in senso agricolo è quasi una imposizione di tipo feudale, perché arricchisce un paese sottomesso creando lavoro, ma nello stesso tempo lo assoggetta a dipendere, per tutto il resto, alle leggi e al mercato del paese dominante.
La monocultura in letteratura esprime lo stesso limite; nel senso che obbliga gli autori a esprimere, dei propri usi e dei propri costumi, un’immagine spesso poco realistica che il mondo vorrebbe vedere per chiudere gli occhi su quanto di maggiormente atroce accade in quegli stessi luoghi.
Esiste senza ombra di dubbio una volontà in questo fenomeno: una volontà che si nasconde, o tenta di nascondersi, dietro il perbenismo camuffato con l’alibi del gusto estetico.
Il rapporto monotematico della letteratura italiana con il pubblico dei lettori sembra che voglia nascondere la stessa volontà, e di conseguenza la forza evocativa di molti scrittori veramente bravi e competenti, s’infrange contro un limite che dovrebbe far riflettere.
Se io oggi dovessi scrivere un romanzo dove lui è in crisi di identità, parte per un viaggio che per certi aspetti rappresenta anche un ritorno alle sue origini e conosce varie persone, s’innamora, soffre, prende coscienza su alcuni aspetti della vita, ebbene… potrei anche scrivere un bellissimo romanzo, ma dovrei avere la consapevolezza che ne esistono almeno altri dieci che trattano la stessa tematica e gli stessi aspetti psicologici.
Certamente il fatto che esistano altri testi simili non rappresenta un vero problema, voglio essere chiaro in questa affermazione, perché penso che alla fine le tematiche affrontate dalla letteratura sono le stesse dalla notte dei tempi. Il problema, se si volesse ricercarlo, sta nella contemporaneità con la quale simili testi sono stati editati. Non può essere una banale coincidenza, così come non si potrebbe definire un caso che simili romanzi siano nello stesso periodo i più richiesti dal pubblico dei lettori.
Leggendo nelle varie riviste le interviste agli editori, si scorge tra le righe il loro rammarico nella difficoltà di trovare un testo originale, che rompa gli schemi e che dimostri uno stile soggettivo e per certi versi irripetibile. Dopo, però, gli stessi editori pubblicano a ripetizione gli stessi esempi di letteratura.
Perché? Io non capisco perché, e immagino che ognuno possa offrire la propria risposta in base alle proprie sensazioni.
Sicuramente esiste l’effetto mercato: io scrivo una storia che vende, allora io stesso e gli altri autori tentiamo di ripetere questo successo scrivendo altre storie simili che certamente venderanno. Saturiamo il mercato fintanto che è possibile, un po’ come si fa con gli altri prodotti di merceologia. Senza alcun dubbio questo fenomeno, per altro comprensibile e giustificabile, non rappresenta un metodo per fare cultura (al limite rappresenterebbe un metodo per creare monocultura), quanto un metodo per creare impresa. Poi, che la si definisca letteratura di evasione è semplicemente una grandissima presa in giro.
Dovremmo chiamare le cose col loro vero nome, se volessimo essere coerenti.
Il contadino che produce grano, perché il grano vende bene e tutti gli imprenditori lo sollecitano a produrre grano così che possano venderlo con facilità e con buoni guadagni, non produce grano per evasione, ma per fare cassa. Allora gli editori abbiano il coraggio di scrivere nei loro articoli che un certo tipo di letteratura è letteratura da cassa. Ecco, io apprezzerei molto di più un testo ben scritto e ben strutturato se quando lo si presentasse nei vari rotocalchi si scrivesse letteratura da cassa.
Apprezzerei l’onestà intellettuale, e mi sentirei più propenso a leggere il romanzo.
Pochi giorni fa, dopo aver parcheggiato l’auto, mi si è avvicinato un nordafricano per vendermi degli accendini. Li ho acquistati e ci siamo messi a parlare. Lui parlava benissimo la nostra lingua: molto meglio di tanti miei connazionali. Aveva una visione molto personale e altrettanto critica della vita. Mi ha raccontato degli studi che ha fatto e delle conoscenze intellettuali che possiede e non può adoperare per via delle burocrazie legislative. Alla fine, quasi come a volersi giustificare, mi ha detto di sua volontà (io mai gli avrei chiesto spiegazioni in merito) che vendeva accendini per mangiare.
Mi piacerebbe almeno una volta vedere un editore o un operatore del mondo editoriale presentarsi in una trasmissione tv, una di quelle trasmissioni viste da milioni di persone, e affermare che lui crede nella letteratura, e magari elencare tutte le grandi scoperte letterarie che ha fatto e i testi che è riuscito a portare all’attenzione della gente per aiutarla nella sua crescita spirituale. Ma mi piacerebbe pure che alla fine aggiungesse: “però, sapete, io ho un mutuo, una macchina, una famiglia e un sacco di spese, e quindi devo pubblicare anche dei romanzi per mangiare”.
Credo lo apprezzerei, come ho apprezzato la schiettezza di quel nordafricano incontrato al parcheggio.


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