Anatomia di una mente morbosa

Da Bruno Corino @CorinoBruno


Guardavo sulla parete di fronte la copia del quadro di Guttuso mentre con la mente inseguivo ancora le tracce che le sue calze avevano lasciato nell’aria. Un nudo di donna che sin dal primo istante aveva eccitato la mia mente malata. Il volto nascosto della donna, quella messa in evidenza delle sue forme sensuali, forse un rapporto appena consumato o in attesa di esserlo, metteva un brivido di piacere nella schiena. Un voler tutto significava un voler niente. E di questo lei era consapevole mentre tranquillamente si rivestiva e raccoglieva le sue cianfrusaglie sparse nella stanza. Correre e andar via. Il più in fretta possibile. Come se la vergogna dovesse essere lasciata alle spalle o in quella camera dove ancora permaneva il fumo delle sigarette che a fatica riusciva ad uscire tra le fessure delle persiane socchiuse. E così che la mia mente s’affisse a quelle scarpe rosse i cui tacchi risonavano sul parquet come un’orchestra stonata. Andar via da quell’atmosfera poetica e morbosa allo stesso tempo che la mia mente malata cercava ogni volta di ricreare. Era difficile capire la mia venerazione per quella stampa di Guttuso, quanta morbosità riuscisse a proiettare sui miei sensi. Era difficile e incomprensibile soprattutto alla avvenente tabaccaia che adesso aveva fretta di andar via e che sin dal primo momento aveva eccitato la mia mente quando di colpo s’era girata per prendere in alto le sigarette sullo scaffale. Fu in effetti in quell’istante che l’immagine della stampa di Guttuso e della tabaccaia si fusero come per magia. Ma si sa: la morbosità è contagiosa. Per questo so che tornerà in quella stanza con la stessa frenesia con cui ogni volta tenta di andare via.