Anche gli oceani emettono CO2

Creato il 01 maggio 2011 da Stukhtra

Come una bibita gasata

di Mattia Luca Mazzucchelli

CO2: dopo la formula dell’acqua è forse la più conosciuta. Per essere chimica, se ne parla molto: l’anidride carbonica è nelle bibite gasate, ormai persino nei prospetti pubblicitari delle automobili. Sta diventando famosa, anzi a volte potremmo dire famigerata. Perché è stata assunta a simbolo del progresso negativo, di quanto male ci possiamo fare da soli. Complice la divulgazione dei media, in molte persone ormai si è ben impressa l’equazione che associa all’aumento dell’anidride carbonica un immediato aumento della temperatura (media) della Terra.

In realtà il nostro pianeta è molto più complicato. Beninteso, i dati recenti mostrano chiaramente come la temperatura media si sia innalzata da quando l’uomo ha iniziato a immettere CO2 nell’atmosfera, bruciando i combustibili fossili. Ma ogni giorno che passa si scopre che la relazione tra i due fenomeni non è così lineare. Il clima è il risultato di moltissime variabili, e i gas serra nell’atmosfera sono una delle tante, sebbene molto importante. Ciò che ancora non ci è chiaro è quanto, una volta che il cambiamento è in atto, ciascuna variabile possa limitare o amplificare le altre.

Un aiuto per capire meglio ci viene dal passato. La Terra e il suo clima non sono sempre stati come li conosciamo ora, ma periodi freddi e caldi si sono alternati ciclicamente. Ora ci troviamo in un periodo interglaciale: così si chiamano i periodi tra un’era glaciale e l’altra, quando si ritirano i ghiacciai. Ma abbiamo ancora la fortuna di poter analizzare del ghiaccio superstite, dove sono ordinatamente registrati migliaia di anni di vita del nostro pianeta. L’Antartide è il più grande archivio di questo genere e per consultarlo bisogna fare carotaggi, cioè perforazioni nella calotta da cui si estraggono lunghe colonne di ghiaccio: le carote, appunto. Qui il ghiaccio è fatto di strati sovrapposti, e ognuno di loro è il testimone del momento in cui si è formato. Intrappolati possiamo trovare polvere, pollini, gas atmosferici, isotopi radioattivi: sono tutti indizi che dicono agli scienziati com’erano il clima e le temperature quando quel particolare strato si è depositato.

Sembra solo un freddo cilindro. In realtà è un prezioso archivio. (Cortesia: University of Washington)

Un gruppo di ricercatori dell’Australian Antarctic Division, guidati da Tas van Ommen, ha lavorato su due carote estratte da Siple e Byrd, nell’ovest dell’Antartide, con lo scopo di chiarire i rapporti tra anidride carbonica e oceani in relazione ai cambiamenti climatici. Negli oceani si trova molta anidride carbonica, che entra in soluzione dall’atmosfera, e la sua concentrazione aumenta con la profondità. Si stima che gli oceani riescano ad assorbire fino al 30 per cento dell’anidride carbonica emessa dall’uomo. Detto così, sembra proprio che ci diano una mano a limitare la quantità di CO2 nell’atmosfera, intrappolandola negli abissi. Ma è come mettere la polvere sotto il tappeto. Perché, se la temperatura dell’ambiente aumenta per l’effetto serra o per altri motivi, gli oceani iniziano a rilasciare il gas. Come una bibita gasata lasciata al Sole, che oltre a diventare una brodaglia si sgasa pure. La legge di Henry non perdona. Quindi ora i mari gentilmente assorbono i nostri eccessi nelle emissioni, ma dopo probabilmente ci presenteranno un conto salato, restituendoci tutto e intensificando l’effetto sera. Il problema è tra quanto tempo.

Insomma sarebbe utile capire qual è il ritardo tra l’innalzamento delle temperature e il rilascio dell’anidride carbonica da parte degli oceani: questo è l’obiettivo dello studio guidato da van Ommen. Grazie alle bollicine di CO2 contenute nelle carote, i ricercatori hanno potuto correlare l’andamento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera con l’aumento delle temperature al termine dell’ultima glaciazione. Il risultato, presentato alla conferenza sul clima Greenhouse 2011 a Cairns, in Australia, è che il ritardo si può stimare in circa 200 anni. Studi simili erano già stati fatti in precedenza, ma avevano ipotizzato un ritardo molto maggiore, fino a 1.300 anni. Secondo van Ommen, l’errore dei suoi predecessori è stato quello di utilizzare carote provenienti da zone in cui le precipitazioni nevose erano scarse, dove quindi si accumulava poca neve che aveva intrappolato l’anidride carbonica.

Ovviamente questa è una scoperta fatta sul passato, e secondo van Ommen bisogna essere cauti nell’applicarla al presente. E’ necessario formulare dei modelli prima di immaginare le ripercussioni sul riscaldamento attuale. Di sicuro però è una nuova tessera da inserire in quel mosaico di processi che è il clima.


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