Nel 1938 i computer connessi a internet non esistevano. E anche la televisione era un media sconosciuto ai più. Ma in quell’anno una dettame reale – per l’esattezza l’articolo 27 del regio decreto 246 del 21 febbraio 1938 – sancì che
sono sottoposti a canone tutti gli «apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo».
Parole scolpite nel diritto e mai più rimosse.Tanto che “mamma Rai”, come ogni anno, le rispolvera con lo scopo di aumentare la platea di cittadini e imprese che pagano il canone Rai. Ottenendo anche l’effetto, prevedibile, di attirare critiche e insulti da parte dei contribuenti.
Su Twitter, per esempio, la protesta non usa mezzi termini: in queste ore, i cinguetti sul tema si raccolgono intorno alla parola chiave #raimerda.