Confesso subito di non aver letto il romanzo fantadistopico The Giver - Il Donatore di Lois Lowry, adattato in forma cinematografica da Phillips Noyce, nel film The Giver - Il mondo di Jonas (2014), per cui posso parlarvi solo della pellicola, attualmente ancora nelle sale. Tempo di distopie, di futuri apocalittici che sembrano davvero andare di moda, soprattutto nella cinematografia. Penso a ottimi film recenti che meritano attenzione, come Anarchia - Il Giorno del giudizio, oppure Snowpiercer, ma anche a parecchia roba commerciale, in larga maggioranza, che non cito nemmeno. Il film The Giver, mi espongo subito, non mi sento di consigliarlo, soprattutto agli spettatori più esigenti. Non so quanto i buchi della sceneggiatura e le contaminazioni commerciali derivino o meno dal romanzo da cui il film è tratto, ma ci sono e oscurano alcune belle intuizioni del regista e le interessanti premesse. Il finale, in particolare, mi ha lasciato con l'amaro in bocca, la "magia", l'incanto ha (purtroppo) prevalso dopo una buona preparazione tecnologico/"scientifica" (anche se non mancano alcune topiche), la cosa ha fatto saltare del tutto le viti, grippare i pistoni, di un vero film di fantascienza a carattere distopico. Magari altri spettatori avranno trovato emozionanti gli ultimi dieci minuti (ne sono certo) o altri aspetti poco credibili del soggetto che vengono proposti con facilità, senza strutturane le fondamenta, ma non credo che l'appassionato di fantascienza potrà essere dello stesso avviso. Non è facile spiegarmi senza spoilerare la trama del film, dovrete per gran parte fidarvi di me. Fate voi.
Posso solo dirvi, per non guastarvi la sorpresa, che la futura società descritta è caratterizzata dalla mancanza di memoria, gli individui, parte integrante di gruppi/nuclei famigliari selezionati e preordinati, non conoscono (o riconoscono) più le emozioni primarie, come l'amore, il dolore e la paura. Anche il concetto di morte sembra sfuggire, ridotto a un semplice, bianco "congedo". Questo stato "catatonico attivo" della popolazione ha consentito la pacificazione totale della comunità, l'organizzazione quasi "robotica" delle vite umane, una città cyber-comunista con una precisa catena di montaggio di comportamenti, un "post-gulag" che a quanto è dato sapere non ha alcun contatto con l'esterno (cosa complessa da immaginare e non spiegata; non siamo di fronte a una catastrofe planetaria che ha creato una comunità di sopravvissuti, tanto per fare un esempio). Come è possibile estirpare le emozioni umane? Tramite la biochimica, le iniezioni di sostanze (non meglio precisate) che ogni buon cittadino del post-gulag si inocula subito dopo la colazione. Sostanze che rendono tutti uguali, più o meno, nei valori e nelle aspettative di vita. Chi tiene le fila di tutto? Un consiglio di anziani, che però non sembra sfruttare la tecnologia per controllare le masse a loro uso e consumo. Anche questi anziani sono "drogati" come tutti gli altri, non hanno emozioni, non vedono più i colori, sono immersi in un bianco e nero (l'omologazione) ben reso dal regista e dalla ottima fotografia. Che poi, come sia collegabile la vista di colori al possesso di emozioni sinceramente sfugge, anche se di grande effetto scenico. Va bene, passi pure che in futuro delle sostanze possano impedire o controllare le emozioni fino a quel punto, ma la vista della realtà in bianco a nero (o con colori parziali come si scoprirà più avanti) riesce difficile comprenderla, non viene spiegata, è un semplice strumento emotivo per lo spettatore. Un deus ex-machina che vola sopra la storia, che contrasta con la scelta di spiegare altri aspetti, di organizzazione sociale e tecnologica, che va oltre il concetto di fantascienza, pur non volendo usare un metro di valutazione troppo scientifico.
Ma andando avanti, il vero problema è lo scioglimento finale dell'incantesimo (uso questo termine non a caso) il superamento del confine della memoria da parte di un cittadino "illuminato", o "svegliato", una scena da film disneyano, col ritorno dei colori nel regno non più stregato, più che da fantascienza distopica. Ma cosa funziona di questo film? Prima di tutto l'idea molto originale di un custode della memoria, delle emozioni, che tramanda la propria conoscenza al prossimo fortunato (o sfortunato) di turno. L'interpretazione di Jeff Bridges di questo "donatore" è davvero affascinante, un personaggio di grande intensità, ma molto è dovuto alla bravura dell'attore stesso, che va oltre il contesto e la rete della sceneggiatura,che invece riesce a intrappolare una grande interprete come Meryl Streep, nei panni del Sommo Anziano. Un personaggio scritto poco, che non offre spunti interessanti, come quello affidato a una ingessata Katie Holmes. Altri spunti lodevoli, oltre alla valorizzazione della funzione della memoria storica, sono alcuni richiami a archetipi dell'antichità, come la selezione dei nascituri di modello spartano, qualcosa che fonda passato e futuro, che stride con l'eliminazione delle memoria storica, che ci lascia immaginare un modello sociale/comportamentale innato, come molti altri descritti e svelati nel film. Qualcosa che poteva essere sviluppato più in profondità. I giovani protagonisti, il nuovo custode della memoria, Jonas, interpretato dal buon Brandon Thwaites, e la immancabile fidanzatina, col volto angelico di Odeya Rush, risultano personaggi acerbi e poco saporiti, probabilmente la loro storia (sul classico modello di Giulietta e Romeo) serve per conquistare gli spettatori più giovani. Detto tutto questo, evitando gli spoiler per scendere più in dettaglio, The Giver risulta un discreto tentativo, purtroppo farcito con troppi compromessi verso un'ampia audience, con un realismo magico che ha poco a che vedere con un vero filone fantascientifico/distopico. Ma è un film che potrebbe piacere, comunque meglio di tante puttanate propinate negli ultimi anni, inquinate dai soliti noiosi zombie senza cervello, senza emozioni, appunto. Almeno The Giver qualcosa di nuovo, nonostante tutto, propone