Capisco che sia difficile discutere con uno come Pierre Cardin: lui ha fatto un’offerta, prender o lasciare. Lui vuole imprimere il suo marchio ai bordi della laguna. Però io, al posto delle istituzioni, proverei almeno ad avviare una qualche trattativa. Innanzitutto per ampliare la bonifica, che nell’attuale progetto è limitata alla sola area del palazzo, e poi per ridimensionare il palazzo stesso. Magari anche spostarlo se, com’è giusto che sia, il vincolo paesaggistico dev’esser applicato, benché proprio lì (e non solo lì, in laguna) il paesaggio sia così devastato che pare un gigantesco sberleffo al vincolo. Insomma io proverei a fare di tutto per salvare l’idea che, vista l’attuale situazione, è a dir poco rivoluzionaria: l’idea di trasformare quella fetta di laguna da fabbrica dei veleni in luogo vivibile. Restituire al “paesaggio” lagunare la dignità che da decenni ha totalmente perduto, ma che rivendica gran voce perché la dignità di Porto Marghera significa la salvezza di Venezia e della sua laguna. Per questo non sopporto sentire i detrattori ricordare romanticamente Venezia città “a misura d’uomo” che il progetto di Cardin colpirebbe al cuore. Quel lembo di laguna non è più “a misura d’uomo” da quasi un secolo. Che si faccia o no il Palais Lumiére, io sono felice che sia servito a far parlare del problema di Porto Marghera, uno dei grandi e sottaciuti problemi d’Italia. Se non fosse stato così grande, non avrebbe fatto notizia. Ora però si è parlato anche troppo e sarebbe tempo di fare finalmente qualcosa, con o senza Pierre Cardin.
Effe