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Ancora sulla polemica scatenata dai “Quaderni neri” di Heidegger da Marcello Veneziani alle biografie dei filosofi

Creato il 01 marzo 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Heidegger_4_(1960)di Michele Marsonet. La pubblicazione degli ormai famigerati “Quaderni neri” di Martin Heidegger ha innescato una polemica, piuttosto feroce, che sta crescendo nei mass media in genere e più nello specifico all’interno dei social network. Non è certo una polemica nuova e riguarda un tema delicato: quello dei rapporti tra filosofia e vita. Importante per alcuni e meno per altri (come per esempio il sottoscritto). Cerco di spiegare in termini non astrusi qual è il cuore del problema.

E inizio con una constatazione che a me sembra banale, mentre numerosi studiosi e parecchi tra coloro che s’interessano alla filosofia da un punto di vista non professionale (diciamo per mera passione) la rifiutano con veemenza.

I filosofi – uomini e donne – al pari degli scienziati, degli storici e dei letterati sono esseri umani come tutti gli altri. Hanno vizi e virtù, coltivano passioni, amano e odiano, nutrono pregiudizi che, perdonati al cosiddetto “uomo della strada”, diventano peccati mortali quando dominano la mente di chi dedica la propria vita a studi difficili e astratti.

Fino a che punto, dunque, è lecito sminuire l’opera di un filosofo facendo ricorso alle sue vicende biografiche, così spesso tutt’altro che cristalline? Nel caso di Martin Heidegger la questione ha subito conquistato le pagine, culturali e non, dei quotidiani e i post utilizzati in rete per discutere di tutto ciò che accade nel mondo.

Ecco allora il pensatore di Friburgo, spesso sfiorato dalle polemiche per la sua adesione al nazismo e un antisemitismo sinora appena accennato, trasformarsi in una sorta di demonio, capace di incantare intere generazioni di seguaci con un linguaggio terribilmente oscuro e neologismi profusi a piene mani nelle pagine delle sue opere.

Lo sconcerto è inoltre accresciuto da un altro fatto molto significativo. Heidegger era ovviamente un pensatore conservatore, anzi reazionario, ma come è accaduto in altri casi la sua influenza si è manifestata tanto a destra quanto a sinistra. Alcune delle più celebri teste d’uovo “progressiste” del secolo scorso e del nostro hanno posto le sue tesi al centro della loro riflessione, del tutto incuranti delle compromissioni naziste e del già accennato antisemitismo strisciante.

I “Quaderni neri” sembrano scritti apposta per rinfocolare le polemiche. L’adesione al nazionalsocialismo non fu affatto un “incidente di percorso” poiché, al contrario, si rivela un passo del tutto naturale alla luce di quanto l’autore afferma in quest’opera sinora inedita. E l’antisemitismo, piuttosto che strisciante, è integrale e possiede addirittura un carattere metafisico-ontologico.

Gli ebrei sono coloro che hanno sradicato l’uomo dall’Essere, i creatori (o, ancor meglio, i diffusori su scala planetaria) della tecnica. Sono “gli agenti della modernità”, tanto da aver causato, essi stessi, il loro autoannientamento tramite la Shoah. E un altro punto va notato. Al pari di tanti altri tedeschi del suo tempo, Heidegger sapeva, almeno a grandi linee, che cosa si faceva realmente nei lager nazisti. E, come tanti altri, tacque. Non per paura – lo si evince dai “Quaderni” – ma per adesione intima (metafisica, per l’appunto) alla soluzione che Hitler e seguaci avevano escogitato al fine di risolvere una volta per sempre il “problema giudaico”.

Come dicevo poc’anzi, non siamo di fronte all’unico filosofo con una biografia macchiata da colpe. Ve ne sono tanti altri. In epoca sovietica molti pensatori, in Unione Sovietica e altrove, giustificarono in pieno i crimini staliniani in nome di presunte “leggi della Storia” poi rivelatesi fasulle, come dimostrò Karl Popper in “La società aperta e i suoi nemici” e “Miseria dello storicismo”. E le biografie di numerosi pensatori di primo piano rivelarono, “post mortem”, una miseria umana sorprendente se paragonata alla grandezza delle loro elaborazioni teoriche.

Certo il caso heideggeriano è particolare, soprattutto per le sue odiose elucubrazioni sulla Shoa. Ma basta questo a imbastire – come ha scritto Marcello Veneziani  – una sorta di “Norimberga filosofica” che rischia di gettare il bambino con l’acqua sporca? Sono sufficienti i “Quaderni neri” a cancellare le idee originali di Heidegger sul nichilismo, sulla modernità, sull’arte?

A mio avviso no, pur non essendo certamente uno dei miei autori favoriti. Anche se molti non concordano, ritengo che la filosofia, proprio come la scienza, avanzi a prescindere dalle biografie degli studiosi che forniscono contributi creativi. Altrimenti non so quanti grandi filosofi dovremmo smettere di leggere perché nella loro vita non hanno tenuto un comportamento esemplare. Si salverebbe, forse, il solo Kant, troppo assorbito dalle sue “Critiche” per lasciar spazio a illazioni scabrose.

Featured image, Heidegger nel 1960

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