ancora tipi da diciassette

Creato il 25 febbraio 2011 da Luci

ancora sul diciassette, ma stavolta di pomeriggio.

tutti i pomeriggi prendo il diciassette per agguantare il bus che mi porterà a lucca, dopo qualche coda nel traffico, qualche curvone improvviso, qualche frenata sportiva, un capitolo di libro e un sonnellino.

tutti i pomeriggi sale anche lui, ma scende a san marco.

lui è rumeno non so se sia vero ma a me pare così, per i corti capelli indecisi fra il castano e il biondo,  per la fronte squadrata e gli occhi chiari ma non azzurri, non verdi, forse grigi, chiari di un colore che non si sa.

non solo ho deciso che è rumeno, gli ho anche cucito addosso un mestiere: il muratore. per le mani sporche di polvere bianca e secche, e i pantaloni schiariti dalla calce.

ha il naso largo, corto, schiacciato ai lati, la bocca molto bella, che nasconde denti grandi e muscoli forti.

l’ho iniziato a guardare perchè non capivo cosa avesse di familiare.

poi alla fine l’ho capito.

mi ricorda la mia infanzia. quando avevo cinque anni i miei vicini erano come lui. esattamente come lui. non facevano il muratore, facevano l’idraulico e il carrozziere, come ancora fanno, del resto.

ma come lui guardavano il mondo, come lui avevano il taglio dei capelli, la bocca serrata e lo sguardo di sfida verso tutto quello che sembrava bellissimo e insieme faceva paura.

ragazzi forti, cresciuti in campagna come me, che facevano colazione col latte della mucca appena munta, come me.

quando avevo cinque anni santina veniva a svegliarmi di mattina presto, mia madre era a  scuola, mio padre alle poste di lucca.

quando mi vestiva per “andare giù” mi scaldava le gambe passando rapidamente le sue mani sulla mia pelle e la sua dolce ruvidezza mi sapeva di coccola.

e poi si faceva colazione, e loro, i suoi due figli maschi, ragazzi italiani del 1980, si preparavano per andare al lavoro.

una ciotola di latte che ne conteneva quasi mezzo litro e pane a volontà.

un paio di jeans che venivano lavati al sabato, oppure una tuta da lavoro blu.

giocavano anche a pallone e io li ammiravo come una sorella piccola.

uno feroce stopper, l’altro fantasioso libero.

avevano la stessa bocca, lo stesso sorriso, gli stessi denti grandi e bianchi per mordere la vita.

d’estate segavano il fieno e lo mettevano in capanna con agili giochi di forca. mi sembrava che nessuno al mondo potesse fare un lavoro del genere.

diventarono grandi, si fidanzarono e si sposarono, hanno dei bambini adesso e non vivono più sotto casa mia.

nemmeno io in effetti, vivo più in casa mia.

ma tutti i giorni, a guardare quella bocca e quegli occhi indecisi sotto alle sopracciglia chiare, mi viene in mente che sono stata una bambina felice e che gli italiani e i rumeni si assomigliano molto più di quanto pensino.


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