1. "Trovi che ci sia un tratto comune tra i ragazzi che ti hanno spezzato il cuore?".
Il primo ad usare The Glow pt. 2 su di me ne aveva scoperto l'esistenza tra le mie parole storte, insieme a quella di altri dischi colmi di metamorfosi e corpi ricoperti di brividi.
All'inizio, era stato il mio discepolo. Parlavamo lingue molto simili, che andarono sovrapponendosi e amalgamandosi nel corso degli anni. Accettai il suo dialetto nel mio quando ancora vivevamo in universi separati e ci vedevamo di sfuggita, tra lattine di birra economica e conversazioni che si reggevano sulla nostra incapacità di guardarci negli occhi.
Dopo essersi rasato i capelli, egli mi rivelò la metafora del bosco e mi mostrò il suo animale guida, che apparteneva alla stessa famiglia del mio. Una notte ci lasciammo alle spalle la casa dei suoi genitori ed egli mi invitò a guardare verso l'alto per farmi accecare dal pallore della luna.
Il secondo ad usare The Glow pt. 2 su di me parlava una lingua densa di metafore, diametralmente opposta alla mia. Eravamo stati negli stessi luoghi, ma impiegammo un intero dizionario dei sinonimi e dei contrari a prenderne atto. La mia Ombra era la sua Luce. I balconi, le vasche da bagno e le catatonie erano identiche. Era una vista ardua da sostenere. Un pomeriggio ci ubriacammo in casa; la mia mente tornava come una molla sulla canzone con la quale egli aveva rievocato il nostro primo vero abbraccio. Era la stessa canzone che avevo dedicato ad un altro, mesi prima. Questo mi spezzò il cuore. Scappai prima del tramonto.
L'anno scorso usai The Glow pt. 2 come campana di vetro, affinché schermasse delle mani indesiderate. Lo misi sul piatto, ma non funzionò. Mi lasciai baciare e toccare per un po', perché non riuscivo più a proferire verbo. Tutto quello che volevo dire era racchiuso nel disco, ma egli non lo aveva mai ascoltato a fondo, non capiva i testi. Avevamo gusti troppo diversi. Non mi spezzò mai il cuore, perché parlavamo lingue di famiglie diverse.
Il terzo ad usare The Glow pt. 2 su di me mi aveva già colonizzata con altri dischi, quindi l'operazione riuscì solo in parte. Ora mi vengono in mente altri album, altri pezzi. Soprattutto quello che dice: "With your hand down my throat you held on to my heart and pumped blood through". Non riuscivo mai ad ascoltare la compilation ch'egli mi donò prima della mia partenza per New York, per via di quella canzone. Ora fa meno male. L'abbiamo cantata insieme lo scorso fine settimana ed è stato bello.
Il quarto ad usare The Glow pt. 2 su di me lo fece fin da subito. Nel secondo periodo del primo messaggio. Lessi il suo nome e pensai al disco. Non sapevo chi fosse. Accettai la sua richiesta d'amicizia guidata da una voce che mi invitava a scavare.
Parlammo per mesi, ed era quasi sempre buio, eccetto per i bagliori che scaturivano di tanto in tanto dal suo petto. La prima notte che trascorremmo insieme, nello stesso luogo, li rividi con chiarezza, ad occhi chiusi.
L'ultima, invece, ero accecata dal candore della neve. Mi lasciai guidare. L'inasprirsi delle circostanze mi faceva sentire a casa. Al freddo, parlammo la stessa lingua.
2. "Dovresti cercare persone che non conoscano quella musica".
Non mi so spiegare a voce, a volte neanche per iscritto. Non ho mai imparato a parlare con fluidità in italiano. Le cose che voglio dire sono già di per sé difficili da estrinsecare. Se mi esprimessi con efficacia ed eleganza, credo fallirei comunque.
Quando non riesco a mostrare le immagini che ci sono nel mio cuore, torno ai balconi, alle vasche da bagno e alle catatonie. Quando mi rendo vulnerabile a mio danno, quando mi mostro invano, resto confinata nella mia stanza, a guardare negli occhi la solitudine.
La musica in comune mi serve per provare ad evitare che ciò accada.
3. "Io preferisco stare tranquilla".
Ero una persona tranquilla, prima che le Ombre mi assalissero.
Così amo presentare i fatti. Una narrazione lineare e limpida. Il trucco sta nell'individuare l'incipit della degenerazione. Ogni volta che credo di averlo individuato, me ne torna in mente uno che lo precede.
Sulla bocca degli altri, sono stata tranquilla per moltissimo tempo, perché non parlavo e non davo fastidio.
Le Ombre sono arrivate dopo. Le ho chiamate così per addomesticarle, ma credo esistessero anche quand'ero più piccola, sotto altro nome.
Le cose più ridicole e folli che ho fatto, le ho fatte nella speranza di tornare ad essere tranquilla, anche solo per un paio d'ore.
La diagnosi dice che i ragazzi che parlano senza usare metafore immaginifiche mi annoiano subito. La noia mi spinge a piantare chiodi nei muri e nelle mie falangi. I ragazzi che parlano senza usare metafore immaginifiche non mi rendono tranquilla, tutt'altro.
Non riesco mai a dire a voce alta che vado cercando i miei simili, perché non mi so spiegare, e così sembra sempre che siano dei folli pieni di strane manie. Faccio fatica a esplicitare che, secondo quanto mi è stato spiegato, secondo ciò che dovrei volere ed essere, anch'io sono una folle piena di strane manie. Il punto è tutto quello che viene prima, tutto quello che sta sotto i dischi che diventano le nostre case. Perché proprio quelli e non altri? Perché proprio quelle metafore, quei versi, quell'attaccamento ad un'immagine che è insieme suono, verbo ed elettricità? Perché ne sentiamo bisogno? Perché non possiamo semplicemente essere tranquilli, senza il bisogno di narrazioni altrui, rivisitate con ossessività, apprese fino a diventare parte del proprio corpo e della propria storia?
Una voce mi dice che sono difettosa.
Un'altra che vedo bellezza nell'oscurità e
bagliori sul cuore delle creature che mi somigliano.