Andare per libri: fenomenologia del collezionista

Creato il 13 novembre 2013 da Alfiobonaccorso

Andare per libri” è un’espressione che è tutto un programma.
I libri, l’amore per essi e la loro ricerca, alimenta in tutto il mondo flussi di gente che si spostano per rincorrere un’edizione scomparsa dal commercio, un testo trascurato da critica e pubblico. Tra le infinite sottocategorie del collezionista di libri, c’è poi chi si rivolge esclusivamente all’antico e chi include l’usato (per intenderci, i libri del ‘900), c’è chi cerca il volume intonso e chi ama le più curiose personalizzazioni dei precedenti possessori. C’è chi cerca i libri dei tempi che furono per ciò che rappresentano, chi per quello che contengono, chi ancora per il valore storico o artistico, ma tutti li cercano per ciò che nascondono tra le righe.
E’ una grande sorpresa per qualsiasi collezionista poter trovare all’interno di un volume, invisibile ad occhi non allenati, una “fascetta” dei primi del Novecento che reclamizza le storie bizzarre e costruttive di “ Bertoldo Bertoldino e Cacasenno “, o un biglietto distrattamente o volutamente occultato dalle pagine di un libro che si rivelerà un invito a cena, letto da noi con un ritardo di 70 anni, per un ricevimento a Via dell’Oriuolo 37, Firenze. Fai le tue ricerche e scopri che il Signor Caio e Signora, dopo aver chiuso la loro copia rilegata a mano di Cervantes, tradotto da Carducci e arricchito dei fregi di Duilio Cambellotti, si sarebbero recati al Ballo del Governatore della Banca d’Italia.
Ti può capitare di trovare copie autografe su una bancarella, come di avere tra le mani a pochi spiccioli una rara edizione del 1937 di “Noi Ebrei” di Abramo Levi che, un anno prima del deplorevole “Manifesto della Razza”, aveva l’arduo compito di difendere la “razza sionista” dagli attacchi di Paolo Orano che aprirono la terribile stagione anti-ebraica.
Ti può capitare di ricostruire pezzi di lessico famigliare e trovare Alfredo Panzini e il suo “Il padrone sono me!” scoprendo finalmente il perché di questa espressione.

Una scena di Midnight in Paris (2011)

Puoi cercare fregi ed illustrazioni liberty e tentare poi a casa un piccolo restauro mentre una suggestione chiama l’altra.
Ti aggirerai nei bouquinistes del Lungo Senna o nella suq di Piazza Marina a Palermo, forse ti troverai di fronte al Clavicembalo Borghese a Roma oppure sarai più semplicemente a Catania in Piazza Dante, il risultato sarà il medesimo.
Puoi comprare un’intera compilazione di galatei di ogni epoca, 20 volumi che riportano sui dorsi una corona baronale e in basso tre iniziali e sperare che chi mise tanto impegno in una simile opera di rilegatura non si dispiaccia poi tanto che ora tutto quel ben di Dio sia in mano tua.
Ti ricorderai di l’eco di una discussione che si riduce appena ad un nome e vorrai comprare tutto Somerset Maugham, quello della Medusa di Mondadori, perché esistono dei dialoghi che val la pena di proseguire, iniziati in un pomeriggio estivo e che hanno buone possibilità di non finire mai.
Ci sono poi le vecchie guide e i racconti di viaggio, tanto obsoleti e “passati” quanto densi di febbrili ed eccitanti connessioni alla realtà.
Ci sono libri che ti insegneranno a vivere, catechismi di verità come l’ ”Emile” di Rousseau, comprato per sbaglio, insieme a quelli che ti mostreranno la Grandezza dello Spirito, come quella volta che ad un’amica non bastò trasmettermi l’emozione dei “Nudi” di Michelangelo e pensò di passarmi la biografia di Simone Weil.
Ci sono libri che amerai e libri che tradirai, o tutte e due le cose insieme. Eppure, tutti saranno gelosamente custoditi, i più preziosi come quegli economici da un penny che un giorno passeranno sotto le rinvigorenti cure della piccola legatoria del centro. Un collezionista di libri insegue con grazia di rabdomante storie, personaggi e vite altrui, vivrà anzi di un pezzo di quelle suggestioni, ma con la più grande generosità, quella che nasce dalla sapienza di lasciare andare; non esiste collezionismo che ignori la massima “tutto prendere tutto lasciare”.


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