Andiamo a vedere ‘ste luci….

Creato il 03 aprile 2011 da None

Calano le luci. Cala il silenzio. Tutti con il fiato in gola. I rumori del traffico di una qualsiasi metropoli anticipano l’entrata in “scena”. Ed ecco che finalmente da dietro al sipario compare la sagoma di Vasco. Ma avete capito chi Vasco?! No, non il Vasco nazionale. No. Il Vasco di nicchia, quello che non vincerà mai un telegatto e che non finirà a scimmiottare se stesso. Vasco Brondi.

Vestito di nero. Nero, come le sue canzoni, come i suoi testi, come le sue metafore. Nero come le storie di vita che scorrono nelle sue poesie, come i personaggi che nascono, crescono e muoiono in quei quattro minuti di chitarra acustica accompagnata da un violino, chitarra elettrica e batteria.

Dietro di lui nient’altro che un palazzo di cartone, quel palazzo che compare nella copertina del suo ultimo disco. Le finestre si illuminano a intermittenza, io mi ci incanto.

Chissà se Vasco si trova un po a disagio a suonare in un posto tanto galante?!”. Me lo chiedo per tutto il concerto.

Le pennate nervose di Cara Catastrofe, nervose proprie come la Generazione Zero che Vasco ci racconta, la Generazione sfruttata, derisa e infelice, danno il la al concerto. Poi Quando Tornerai dall’Estero, e i primi brividi si arrampicano per la spina dorsale (e adesso che quando ci parliamo i nostri aliti fanno delle nuvole, che fanno piovere…e tan che riscrivendolo il brivido risale…brrr). Brividi. Lì per lì pensavo fossero di freddo, e invece no. Brividi causati dai viaggi della mia mente che rivivevano, andando di pari passo con le parole di Brondi, situazioni, avventure, disavventure eccecc. E la scaletta scorre veloce, pezzi estratti sia dall’album di debutto che dal più fresco Per ora noi la chiameremo felicità, titolo preso in prestito da uno stralcio di poesia di Lèo Ferrè. Ed è proprio la voce “fuori campo” di Ferrè che introduce mano a mano ogni brano e che ci accompagna nel trip brondiano. Nei secondi che vanno dalle ultime note di ogni brano e gli applausi timidi, ma convinti, viene a crearsi un silenzio imbarazzante, quasi rispettoso nei confronti di ogni singolo accordo, di ogni singola nota, di ogni singola parola. Brondi è poco loquace, ringrazia, si piega per raccogliere il bicchiere posato a terra e scompare dalla mia visuale (hai voluto il posto in prima fila?! Ora te lo tieni.dannato palco dannatamente troppo alto.dannato teatro.). Esce e ricompare sul palco due volte. Poi quando pensi che sia tutto finito te lo ritrovi li in mezzo, in mezzo alla sala insieme agli altri elementi del gruppo. Canta, in mezzo a Noi, il suo ultimo pezzo prima di salutarci, Le Petroliere, regalandoci l’ultimo emozionante brivido.

un grazie per la foto a MariaAlessia Manti



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