Andrà Tutto Bene: Generazione di Sfigati

Creato il 27 gennaio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il gennaio 27, 2012 | LETTERATURA | Autore: Maria Pia Di Dio

Affoga, annega, soffoca. Beve. «Sono Batman. Sono Superman. Sono Spiderman», pensa con lo stomaco sommerso dal rum che lo devasta. Questo è il ritmo incalzante del primo romanzo di Stefano Iannaccone “Andrà tutto bene”, pubblicato dall’associazione La Bottega delle parole a dicembre del 2011, e il cui protagonista si fa portavoce di un malessere sociale sempre più dilagante tra le nuove generazioni che tentano di prendere in mano il proprio futuro. Un futuro quanto mai incerto, schiavo del precariato, ma in cui non si smette di sperare. Certo, bisogna vederselo davanti però per poterlo sognare ed è questo che, per qualche mese, blocca il protagonista: Marco, laureato in Lettere «con un onesto 106» e ormai specializzando trasferitosi da poco a Roma. Non vuole crescere e preferisce rimanere a crogiolarsi nel proprio dolore fino a farlo diventare quasi apatia, preferisce farsi sommergere dalle onde del suo malumore, dal pensiero di lei, dal pensiero dei doveri universitari e della società che sembra remargli contro. Gli unici a stargli davvero vicino sono gli amici Guido, Marina e Ilaria. I tre ben poco riusciranno a fare, nonostante i mille tentativi e incoraggiamenti, poiché in queste circostanze l’unica cosa che conta davvero è la volontà dell’individuo: l’unica cura possibile. Ma, se il protagonista maschile è Marco, parimenti importante, e senz’altro emblematica, è la storia di Fabiana, le cui disavventure vengono narrate in capitoli alternati dal titolo comune Passato (caratterizzati anche da un font diverso), questo perché lei fa parte dei ricordi, di tutto ciò che il protagonista vuole assolutamente lasciarsi alle spalle, ma senza avere mai avuto il coraggio di affrontarli e questo ne determina il continuo riaffiorare in mille modi e nei momenti più disparati. Poi, gli sgomenti personali si intrecciano con quelli verso la società, si impastano e creano un quadro completo delle angosce caratterizzanti lo sguardo dei giovani ventenni che osservano la loro vita sperando di non dover andare all’estero, di non dover lasciare il rassicurante nido familiare, di non morire in un attentato, di non essere sorpassati da qualcuno che taglia il traguardo prima di te solo perché agli ultimi 30 cm riceve una gran pedata nel sedere.

Assolutamente da apprezzare la diversificazione dei caratteri in base al narratore, al fatto che si tratti di un testo scritto o solo di pensieri, alle frasi che l’autore vuole mettere in evidenza. Molto particolare è, infatti, lo stile di Stefano Iannaccone. Frasi brevi e brevissime, le situazioni dipinte con veloci pennellate di colore rimandano allo stile giornalistico, essenziale ed asciutto, uno stile che l’autore è “costretto” a dover usare spesso, lavorando per il giornale settimanale «Il punto», ma che rende l’opera particolarmente godibile. Si ritrovano così, nel testo, numerose citazioni cinematografiche, l’uso di “frasi–intercalari” che danno un ritmo sostenuto, di sinonimi spesso separati solo da una virgola: tutto ciò abbinato ad una forte ironia rende il romanzo estremamente piacevole sia all’occhio sia all’orecchio. Una sinfonia che quasi vuole rimandare al caos e ai ritmi martellanti di una psiche assillata dagli impulsi dell’Es e scacciata sotto il peso del Super Io, alla continua ricerca di un equilibrio che, tutto sommato, sembra ristabilirsi alla fine, quasi a voler confermare il titolo del romanzo. Tutto andrà bene, tuttavia l’Epilogo, lasciato in mano a Fabiana non può che far pensare a lei come una figura essenziale: tanto rilevante che alla fine della lettura ci si chiede chi sia il vero protagonista della storia: lei o Marco? In ogni caso rimane un romanzo assolutamente da leggere, piacevole e istruttivo al contempo, nonostante lo stesso autore, in una delle due note interne al testo, scriva: «Se proprio hai deciso di voler continuare, sappi che il resto della storia non ha un filo logico, né ha niente da insegnare: non è un racconto scritto con tutti i crismi del racconto; sono stralci di una vita un po’ così, con ansie e timori e scazzature tipiche dell’insoddisfatto cronico, incapsulato nel nostro ridente mondo occidentale negli anni del lavoro part time e delle continue minacce di guerra di civiltà».



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