Assolutamente da apprezzare la diversificazione dei caratteri in base al narratore, al fatto che si tratti di un testo scritto o solo di pensieri, alle frasi che l’autore vuole mettere in evidenza. Molto particolare è, infatti, lo stile di Stefano Iannaccone. Frasi brevi e brevissime, le situazioni dipinte con veloci pennellate di colore rimandano allo stile giornalistico, essenziale ed asciutto, uno stile che l’autore è “costretto” a dover usare spesso, lavorando per il giornale settimanale «Il punto», ma che rende l’opera particolarmente godibile. Si ritrovano così, nel testo, numerose citazioni cinematografiche, l’uso di “frasi–intercalari” che danno un ritmo sostenuto, di sinonimi spesso separati solo da una virgola: tutto ciò abbinato ad una forte ironia rende il romanzo estremamente piacevole sia all’occhio sia all’orecchio. Una sinfonia che quasi vuole rimandare al caos e ai ritmi martellanti di una psiche assillata dagli impulsi dell’Es e scacciata sotto il peso del Super Io, alla continua ricerca di un equilibrio che, tutto sommato, sembra ristabilirsi alla fine, quasi a voler confermare il titolo del romanzo. Tutto andrà bene, tuttavia l’Epilogo, lasciato in mano a Fabiana non può che far pensare a lei come una figura essenziale: tanto rilevante che alla fine della lettura ci si chiede chi sia il vero protagonista della storia: lei o Marco? In ogni caso rimane un romanzo assolutamente da leggere, piacevole e istruttivo al contempo, nonostante lo stesso autore, in una delle due note interne al testo, scriva: «Se proprio hai deciso di voler continuare, sappi che il resto della storia non ha un filo logico, né ha niente da insegnare: non è un racconto scritto con tutti i crismi del racconto; sono stralci di una vita un po’ così, con ansie e timori e scazzature tipiche dell’insoddisfatto cronico, incapsulato nel nostro ridente mondo occidentale negli anni del lavoro part time e delle continue minacce di guerra di civiltà».
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