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Andrea Molesini svela i segreti de “La primavera del lupo”

Creato il 21 luglio 2013 da Sulromanzo
Autore: Enza MoscaritoloDom, 21/07/2013 - 11:30

La primavera del lupoLa primavera del lupo di Andrea Molesini è uscito il 9 maggio 2013, edito da Sellerio, a poco meno di tre anni di distanza dalla precedente fatica letteraria. Nulla di straordinario, se non sapessimo che per “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, anch’esso pubblicato con l’editore siciliano, e tradotto in Francia, Spagna, Germania, Olanda, Ungheria, Danimarca, Slovenia, Norvegia e Stati Uniti, sono stati impiegati ben cinque anni. «Ci ho messo così tanto perché era il mio primo romanzo» confessa candidamente il veneziano Molesini, che nella vita fa anche il professore universitario a Padova. Tanto impegno fu, però, ripagato con la vittoria del Premio Campiello e del SuperCampiello nel 2011 e con numerosi riconoscimenti. Non si pensi, però, che Molesini fosse totalmente neofita della scrittura. Fino a pochi anni prima dell’uscita del romanzo ambientato durante il primo conflitto mondiale, era stato un prolifico traduttore e scrittore di libri per ragazzi, tanto da essersi meritato, a fine anni Novanta, il Premio Andersen alla carriera.

 

Ne La primavera del lupo il protagonista è un ragazzino di dieci anni, Pietro, che racconta in prima persona la sua rocambolesca fuga, insieme ad un gruppo di adulti, per sfuggire alla cattura dei nazisti. È ritornato alle origini del suo mestiere di scrittore, provando a mettersi nei panni di un bambino?

È stata una sfida molto impegnativa, certamente. Pietro racconta in prima persona, tutto d’un fiato, senza pause, senza rispettare le regole della sintassi o della grammatica. Dice «A me mi piace», ad esempio. È un flusso di coscienza continuo. Usa l’indicativo, quando secondo la consecutio temporum sarebbe opportuno il congiuntivo, perché non formula ipotesi. Per lui la realtà è quella che gli appare e la descrive con la schiettezza e l’innocenza di un bambino di 10 anni, che è un’età un po’ strategica e un po’ magica, per certi versi: si è ancora bambini, ma l’età si scrive a due cifre e già si comprendono alcune cose degli adulti. Il linguaggio è funzionale a quello che lui mette in campo.

E questo lupo è un amico immaginario del piccolo Pietro che così esorcizza la paura della morte e la tragedia che vede intorno a sé…

Sì, è proprio così. Pietro è un ragazzino buono e nonostante tutto quello che gli capita, insieme ai compagni di sventura, conserva ancora quella forza e quella vitalità alimentate dalla fantasia che gli permette di interpretare la realtà a modo suo, sfuggendo all’immane tragedia della morte e della violenza inaudite che incontra lungo questa difficile fuga dai nazisti. Anche gli altri personaggi e il loro modo di narrare giocano un ruolo importante nell’economia del romanzo.

Infatti c’è anche una donna che irrompe nello schema narrativo…

Mi affascinava la sfida di descrivere un evento da più punti di vista, quello del bambino e della persona adulta, quello dell’uomo e della donna. Ci sono sfumature diverse, talvolta impercettibili, talvolta fondamentali.

Lei ha, infatti, un’attenzione quasi maniacale per i suoi personaggi: come mai?

Quando scrivo un romanzo, seguo questa semplice regola. Immagino i miei personaggi e su un quaderno appunto tutte le caratteristiche che dovrebbero avere, sia fisiche che comportamentali. Sono pagine buttate giù d’istinto, col ventre, non con la testa. Così, mentre sviluppo la trama, le loro figure si evolvono insieme alla storia secondo precise dinamiche, già definite in partenza perché so che cosa mangiano di solito, in che modo si comportano e si relazionano. Questa tecnica vale solo per me, sia per i protagonisti che per i comprimari. Anche se poi, detto tra noi, io non so mai dall’inizio come andrà a finire veramente. La trama nasce da questo, dal caso, dal destino, come la vogliamo mettere, che getta in faccia ai personaggi delle circostanze.

Piergiorgio Odifreddi ha affermato in un incontro pubblico a cui ho preso parte che ci sono tre tipologie di lettori: quelli ancora infantili che, come bambini che ascoltano le fiabe, vogliono sapere come andrà a finire, si interessano solo alla trama; quelli adolescenti, capaci di apprezzare lo sviluppo narrativo, ma anche di cogliere le sfumature, i messaggi e i significati intrinsechi che esso può rivelare; ed infine, quelli adulti, che riescono ad amare un libro anche solo valutando lo stile e gli strumenti con cui è stato portato a termine, anche mettendo in secondo piano la trama. Che cosa ne pensa? A quale categoria appartiene? Quando scrive che cosa privilegia?

La primavera del lupo è un romanzo di suspence e di azione. È importante dare al lettore lo stimolo giusto per fargli voltare pagina e arrivare fino alla fine della storia. Ciò che ha detto Odifreddi è condivisibile, ma come lettore amo l’insieme degli ingredienti. In un romanzo è necessario amalgamarli bene: ci vuole una trama avvincente, ritmo, ma anche abilità tecnica.

Di solito, la seconda prova è più difficile della prima, specie quando questa ha ricevuto riconoscimenti e apprezzamenti importanti: si è posto questo problema?

Certamente, è un pensiero che mi ha sfiorato, ma i due romanzi sono molto diversi tra loro, per quanto ci possano essere alcuni tratti di somiglianza. Ogni opera d’arte, e un’opera letteraria è un’opera d’arte, ha una sua unicità. Il primo è un romanzo storico canonico, strutturato per essere un romanzo, con una sua epica ben precisa. Ho impiegato tanto tempo anche perché dovevo verificare le fonti, incrociare alcuni dati, essere sicuro di non scrivere castronerie. Questo secondo lavoro, invece, frutto di fantasia, mi ha lasciato più voglia di sperimentare e di mettermi alla prova. Se Non tutti i bastardi sono di Vienna è musica classica, La primavera del lupo è musica jazz, mettiamola così. E amo molto entrambe. In questo periodo, sto andando su e giù per l’Italia, è molto bello incontrare i lettori, sentire l’umore della gente, avere un riscontro diretto di quello che pensano avendo letto entrambi i romanzi.

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