Andrea Pomella: “Il ruolo della donna oggi è peggiore che in ogni altra epoca”

Creato il 06 maggio 2013 da Leultime20 @patrizialadaga

Dopo aver recensito con piacere il primo romanzo di Andrea PomellaLa misura del danno (Fernandel), protagonista della rubrica 2VociX1Libro di marzo 2013 e aver conversato con lui in Twitter, rete sociale nella quale è piuttosto attivo, mi è venuta voglia di saperne di più sulla sua attività di scrittore e ho colto l’occasione di intervistarlo durante una mia “scappata” a Roma, dove vive.

L’appuntamento è davanti ai grandi magazzini di una piazza della capitale. Dopo le presentazioni ci rendiamo conto che nessuno dei due ha idea di dove andare a realizzare l’intervista, così ci rifugiamo in un bar, piuttosto buio e rumoroso e ci rassegniamo a sederci in un angolo in cerca di un po’ di tranquillità. Pomella, a differenza del protagonista del suo romanzo, afflitto da egocentrismo e immaturità, dà l’idea di essere una persona estremamente posata e matura, che nasconde un po’ di timidezza dietro ai grandi occhiali e al pizzetto ben curato. Uno scrittore simpatico e per nulla saccente, con cui è stato davvero molto piacevole conversare.

Come è nata l’idea di questo romanzo?

Il libro è stato scritto nel 2011 ed è legato a tre fatti che sono accaduti a quell’epoca che mi hanno fatto riflettere:  Il caso Ruby, la vicenda Strauss Khan, un evergreen del “lolitismo” e il riemergere della questione Polanski. Avevo notato che la reazione della gente a questi fatti era diversa in funzione dell’ideologia di appartenenza. Così ho cominciato a riflettere su come l’ideologia sia qualcosa ancora presente ma come cascame, come “scia” molto discutibile che ci fa giudicare le cose sulla base di preconcetti. Inoltre, ambivo a scrivere qualcosa che raccontasse questi ultimi vent’anni. Credevo fosse arrivato il tempo di parlare dell’era Berlusconi, (che al momento dell’uscita del libro, prima delle elezioni dello scorso febbraio, pareva volgere definitivamente al tramonto, ndr) cercando una chiave di interpretazione.

Qualcuno in particolare ti ha ispirato la figura di Alessandro Mantovani, il protagonista che seduce una quindicenne?

Tutti e nessuno. Non c’è una figura reale, ma ho preso un po’ da tutti i personaggi che si sono visti in circolazione in questi anni.

Di Mantovani sappiamo tutto, mentre di Beatrice, la ragazzina quasi nulla. Perché?

Mi fa piacere che tu l’abbia notato, si tratta di una scelta volontaria perché Beatrice incarna la figura femminile così come è stata rappresentata in questi anni. È la donna senza spessore. Il ruolo della donna oggi credo sia peggiore che in qualsiasi altra epoca, per alcuni aspetti persino più terribile dei tempi anteriori al suffragio universale. Un tempo la donna non era considerata, era solo l’angelo del focolare che serviva a fare i figli, è vero, ma oggi è quasi peggio, è uno strumento funzionale al potere, è una figura svilita che viene “violentata” allo scopo di portare in auge il maschio dominatore.

Perché il titolo La misura del danno?

Cercavo un titolo che fosse evocativo del linguaggio assicurativo. La riflessione che facevo era: io sono nato nel 1973, ho 40 anni e quest’epoca terribile me la sono vissuta tutta. Qualcuno dovrà pur dirci a quanto ammonta il danno. Tra i venti e i quarant’anni anni si suppone che la gente vada incontro alla maturità, invece in Italia nell’ultimo ventennio abbiamo visto esattamente il contrario. Gente di settant’anni che inseguiva l’immaturità tra il goliardico e, non trovo una aggettivo migliore, il “criminoso”. Questi “due treni che non si incontrano” hanno destabilizzato almeno tre generazioni. Eccolo il danno.

E chi ci risarcisce?

Nessuno, questo è chiaro, purtroppo.

Il soggetto del libro è molto cinematografico. Pensi di proporre i diritti?

Sì, con il mio agente ci stiamo provando.

Qual è la parte del romanzo che ami più delle altre?

Il rapporto che c’è tra Alessandro e suo padre è la spina dorsale del romanzo. Il conflitto tra le generazioni, l’amore paterno che sconfina in un gesto violento, quasi una forma de redimere il figlio; come dire: se non ti puniscono loro, ti punisco io.

Pubblichi il tuo primo romanzo a 40 anni. Cosa hai fatto prima?

Ho fatto lo storico dell’arte, è mia la guida ufficiale dei Musei Vaticani tradotta in 11 lingue. Collaboro anche con varie testate pur senza essere giornalista professionista. Però l’aspirazione a fare lo scrittore è qualcosa che ho sempre avuto. Scrivevo e poi lasciavo tutto nel cassetto. Finché nel 2006 ho conosciuto Abraham Yeoshua, ho passato con lui tre giorni e da allora siamo amici, lo considero il mio maestro. Lui mi disse che uno scrittore non dovrebbe pubblicare il suo primo romanzo prima dei 40 anni. Chiaramente è una formula contestabile, ci sono grandi autori che hanno scritto cose fantastiche da giovani, però io ho fatto mio questo suggerimento e ho cominciato a fare sul serio in vista di quest’età.

E adesso che hai l’età giusta che tipo di scrittore sei?

Scrivo sempre, di tutto. La misura del danno l’ho finito in 4 mesi senza interruzioni, a volte digitando sulla tastiera con una mano sola perché avevo mio figlio, che oggi ha tre anni, appisolato in braccio. Ma è stata un’eccezione perché in genere porto avanti più progetti contemporaneamente, perciò posso stare all’interno di una storia per qualche mese e poi riprenderne un’altra senza difficoltà.

A chi affidi la prima lettura di quello che scrivi?

Alla mia compagna. È lei il mio giudice più severo, l’unica persona che legge quello che scrivo mentre la storia è ancora in fase di elaborazione. E quando ho finito, attendo con ansia il suo parere. Le sue critiche  sono sempre molto azzeccate e utili.

Tu sei molto attivo sulle reti sociali. Credi che tutti gli scrittori dovrebbero usarle?

Io credo che la Rete sia un’occasione straordinaria per uno scrittore perché in Internet si scrive e si comunica col mondo. Quando ero ragazzino occasioni per scrivere pubblicamente non ce n’erano. Oggi tutto passa attraverso la Rete, perciò uno scrittore non può restarne fuori.

Hai pubblicato con Fernandel che è un piccolo editore indipendente di qualità. Come ci sei arrivato?

Tramite il mio agente. Adesso siamo in fase di presentazione del romanzo, soprattutto al Nord e in Sardegna. Purtroppo in Italia la distribuzione dei libri degli editori più piccoli al Sud è una cosa sconcertante. Spesso non si trovano nemmeno nelle librerie più rifornite. Io avrei voluto fare qualche presentazione anche nelle regioni del mezzogiorno, ma mi è stato sconsigliato, perché se poi il romanzo non è reperibile non ha molto senso.

Hai in mente una nuova storia?

Ho già pronto, e in lettura presso il mio agente, un romanzo molto più corposo de La misura del danno. Anche il tema non ha nulla a che vedere. E poi ho altri due progetti. Insomma, i 40 anni ormai li ho superati e adesso posso sbizzarrirmi e tirare fuori tutto dal cassetto. Vedremo….

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