La tv generalista perde spettatori, soprattutto i più giovani. E la Rai ha un pubblico «vecchio». Che fare?«Costruiamo per il 2014-2015 un’offerta con voci e punti di vista diversi, temi contemporanei attenti ai giovani, cercando di unire gli spettatori di ogni età. La Tv pubblica come incontro tra generazioni, che racconti il Paese nella sua complessità, nella sua ricchezza di aspetti, anche problematici, ma che non perde la speranza».
Ma le fiction sono sempre quelle, alla fine: «Don Matteo», «Un medico in famiglia». Come si può parlare di rinnovamento?«Invece anche lì inseriamo elementi di novità. Adolescenti e giovani adulti protagonisti, temi come la mancanza del lavoro, il bullismo femminile, il rapporto ossessivo con le nuove tecnologie. Anche registi e sceneggiatori sono più giovani».
Cambiano le famiglie. E l’origine etnica di tanti nuovi italiani è sicuramente diversa dalla solita. La Rai lo sa?«Lo vedremo in “È arrivata la felicità”, ideale proseguimento di “Tutti pazzi per amore”, sempre di Ivan Cotroneo con Stefano Bises e Monica Rametta. Si comincia a girare in autunno. È l’incontro tra due quarantenni, una vedova con due gemelle e un uomo abbandonato dalla moglie con due figli. Lei è Angelica, lui Orlando. La migliore amica di Angelica è Francesca, ragazza italiana, con la pelle scura. Ma la sua sarà una storia di totale normalità quotidiana. Il suo problema sarà l’amore, non il colore della pelle. Come sempre con Cotroneo, ciascun personaggio è visto come unico ma Francesca rappresenterà una certa nuova Italia. L’immigrazione clandestina affiorerà in “Con gli occhi chiusi” di Pupi Avati. Parleremo degli italiani in Afghanistan con “Limbo”, dal libro di Melania Mazzucco, storia di una donna soldato».
Lei parlava di giovani, di temi contemporanei. Quali?«Il bel progetto di Francesca Archibugi, con due serie parallele, per Rauiuno e per il web: storia di una sedicenne con genitori giovanissimi che rimane incinta. Quando se ne accorge è troppo tardi per ripensarci e questo cambia tutti gli equilibri familiari. Lei, musicista, ha una storia d’amore tenera e poetica con un ragazzino sordomuto a cui insegna il senso della musica. E da lui impara a crescere. Da un bell’incontro con Pif, l’autore di La mafia uccide solo d’estate è poi nato il progetto su una famiglia siciliana negli anni 70, col punto di vista del bambino, come nel suo film, che scopre anche il lato banale della mafia».
Ma la realtà non è solo poesia, è anche cronaca brutale.«”La scelta di Anna”, di Sandro Petraglia ed Elena Bucaccio è la storia di una donna sindaco di un piccolo paese della Locride, dilaniato da buchi di bilancio e da infiltrazioni criminali. E poi “Il coraggio di Lea” di Marco Tullio Giordana, dedicato a Lea Garofalo, vittima della ’ndrangheta. E le due serie “La Catturandi”, la squadra speciale di Palermo, e “Il sistema”, storia di un infiltrato del Gico, il gruppo d’élite della Guardia di Finanza, in quella malavita d’alto bordo che naviga nell’economia internazionale».
In quanto all’immediato futuro, alle prossime settimane?«Il 19 marzo Raiuno trasmetterà “Per amore del mio popolo”, la storia di don Diana ucciso nel 1994 a Casal di Principe, con Alessandro Preziosi. Presto vedremo “Purché finisca bene”, cinque film ambientati nel Nord Italia e ancorati alla vita dei giovani adulti di oggi. Tra questi “Una Ferrari per due”, sul tema dei licenziamenti dei manager in Italia».
Ma come scegliere i tanti progetti che vi arrivano?«Ho varato un nuovo metodo di lavoro, presto le linee editoriali saranno per la prima volta online. Il titolo è “Nessuno escluso”. Prima verrà la scrittura di un soggetto in trenta cartelle, i suoi elementi innovativi, e poi la capacità del produttore. Quando ho annunciato che cercavamo idee sulla Prima guerra mondiale mi è arrivato uno straordinario progetto di Massimo De Angelis, che lavora come guardia giurata ma ha anche vinto il premio Solinas. Ci ha proposto l’idea di 14 film di 6 minuti ciascuno per il web, con diversi registi, in cui raccontare quei giorni con gli occhi di oggi. Mi pare un modo nuovo, da tv pubblica aperta, di lavorare».
Intervista di Paolo Contiper "Corriere della Sera"