Giovanni Berardi e Andrzej Zulawski
Ho esitato a lungo sul titolo da dare a questo contributo, perché molte sono le cose che si possono dire e tante tante le cose che si possono analizzare sul percorso creativo dettato dal cinema di Andrzej Zulawski. Intanto Zulawsky è un regista formidabile al quale la critica ha però riservato da sempre una condizione di limbo. Lui stesso però riconosce apertamente di avere inseguito, e di continuare ad inseguire, un modello di cinema davvero “troppo personale”. Noi pensiamo innanzitutto che i suoi film sono scritti e concepiti come opere letterarie, proprio come se fossero destinati più che alla macchina da presa alla tipografia. Forse non sbagliamo neppure a pensarla così perché, come ci ha spiegato Andrzej Zulawski, cinema e letteratura sono state da sempre le sue passioni più forti, tanto che ci sono stati periodi in cui le due cose si contendevano il campo, anche invadendosi a vicenda. Molte volte la sua sofferenza più grande era la decisione da prendere in merito all’espressione da dare alla sua opera. Ed infatti i suoi film sono nettamente nutriti di letteratura, come le sue scritture invece sono nutrite di immagini effettive. Basta sfogliare il suo ultimo volume – un libro tra l’altro voluto testardamente in Italia dal regista Luigi Cozzi, che ne ha curato, con una rigorosa e netta sfida ai dinieghi, l’edizione -, Sette piccoli film che parlano di musica e ne fanno uno solo, Profondo Rosso edizioni. Dobbiamo rendergli davvero un plauso al buon Cozzi per l’ottima idea.
Ma torniamo al cinema di Andrzej Zulawski. Personalmente ho cominciato ad amare Zulawski negli anni settanta. E in realtà perché fan sfegatato in quegli anni di un attore come Fabio Testi. Testi era stato nel 1975 l’interprete principale, e bravissimo, di un film di Zulawski, L’importante è amare, dove era lo splendido protagonista insieme ad una bellissima ed intensa Romy Schneider. L’importante è amare l’ho trovato subito irresistibile, bellissimo, girato poi con una tecnica narrativa assolutamente intrigante per il cinema del periodo. Dunque se ho scoperto il regista Andrzej Zulawski, in prima analisi, lo devo assolutamente al buon Fabio Testi. E l’arcano è svelato. Forse bisognerà spendere un premessa: perché mi piaceva, all’epoca, e così tanto, un attore come Fabio Testi? Se ero una donna il motivo era presto detto, era l’attrazione proprio per l’uomo, perché Testi era davvero un uomo spudoratamente bello. Ma non ero una donna. Semplicemente Fabio Testi era stato protagonista in quegli anni di alcuni film che mi avevano letteralmente esaltato, affascinato, convinto: film davvero stupendi. Per me erano film davvero irresistibili, al contempo il consenso critico per queste pellicole era addirittura inesistente, semplicemente scarsamente prese in considerazione. E quei giudizi per me rappresentavano, nel periodo, una decisa ed ulteriore attrazione. Cosa avete fatto a Solange?, perfetto thriller di Massimo Dallamano, Revolver, ottimo noir di Sergio Sollima, L’ultima chanche, ulteriore perfetto thriller di Maurizio Lucidi, Camorra, godibile poliziesco di Pasquale Squitieri, I Guappi, un’indagine dal sapore storico sulla nascita della camorra a Napoli, di Pasquale Squitieri, Vai Gorilla, splendido urbano avventuroso di Tonino Valerii, Sterminate Gruppo Zero, azzeccato giallo politico di Claude Chabrol, e finalmente nel grande elenco L’importante è amare di Andrzej Zulawski, e Il grande racket, poliziesco formidabile di Enzo G. Castellari. In tutti questi film, perfettamente ignorati o indagati scarsamente e frettolosamente, Testi era la beltà perfetta, anche la bravura tutto sommato, e la fisicità di Testi era l’aderenza perfetta ai personaggi. Erano, in definitiva, film fisici, forse per questo venivano definiti film il cui valore culturale e, tutto sommato, politico era di destra. E personalmente, poiché pensavo, e penso, sull’altra sponda, era un dolore costante ed anche una valutazione non proprio perfettamente capita ed accettata. Pensavo davvero che tutta questa intellighenzia sbagliava. Il tempo, penso, ne ha dato l’ assoluta conferma: non sbagliavo.
Ora riversiamoci verso il cinema di Andrzej Zulawski, che è il motivo vero del nuovo contributo. Intanto Zulawski, partiamo dal principio, sapeva davvero spogliare con maestria e generosità tutte le giovani attrici che dirigeva. Ed era già un motivo di grande attrazione per i sedicenni del momento. Dopo abbiamo saputo anche cogliere al volo, e venerare di Andrzej Zulawski, il suo lato eccessivo, violento, irregolare, delirante. Tutti estremi caratteri del grande cinema. E Zulawski era in buona compagnia nel frattempo, con Alexander Tarkovsky, Dusan Makaveyev, Beni Montresor. L’importante è amare mi aveva entusiasmato già alla prima visione: film davvero godibile, primo commento all’uscita della sala, un racconto pianificato alla meraviglia su una struttura assolutamente melodrammatica. Pur non amando all’eccesso il melodramma, ma in realtà nemmeno così drasticamente rifiutato, ricordo, il film rispettava una cornice decisamente spettacolare, in cui anche i sottintesi assoluti, l’angoscia, il dolore, il male assoluto, erano resi in maniera prepotente ed intellegibile. C’era già un assoluto preludio all’inquietudine, al buio, al terrore, temi che poi Zulawski ha affrontato in maniera sempre più estrema e decisa, come ad esempio nel suo fantastico Possession, 1982, in cui tutti questi elementi erano gestiti, finalmente, sotto la cupa tensione di un film decisamente horror.
Possession, infatti, e L’importante è amare, due titoli tra i film più visti in Italia di Zulawski, alla radice del loro tessuto narrativo, costituiscono e radicano un processo decisamente umano ma angoscioso, malefico, doloroso, perverso. La prima produzione di Zulawski, La terza parte della notte, 1972, era stata possibile visionarla comunque (non rammentiamo uscite regolari nei circuiti commerciali del cinema) solo attraverso (e dopo la conferma de L’importante è amare) le felici programmazioni degli immensi cinema d’essai, molto attivi negli anni settanta, una politica culturale proprio alla ricerca di film altrimenti negati dai circuiti commerciali regolari, dai cinema dei padroni per intenderci. Anzi, per la precisione storica, La terza parte della notte fu possibile vederlo solo grazie a un’iniziativa culturale promossa dal partito radicale del periodo, era il 1976 (oggi avvertiamo una forte tristezza pensando al declino culturale, politico ed umano di quel glorioso partito). Ma tanto è. Il seminario in programma, conseguenza della proiezione al film La terza parte della notte, era speso, ricordo, a favore di un excursus sulla vita politica e culturale di Andrzej Zulawski, un artista non certo benvoluto in patria, la Polonia degli anni settanta. Insomma con La terza parte della notte Zulawski aveva scosso e turbato, in fondo, le coscienze del potere polacco, con la messa in scena, semplicemente, di quello che era l’adattamento cinematografico di un episodio della lotta antinazista, un racconto del papà, Mirozlaw Zulawski, un testo basato naturalmente sulla verità della sua esperienza personale. La rappresentazione degli orrori nazisti era così estrema, dilatata, stravolta, da sembrare quasi che, da una assoluta verità storica, Zulawski invece ne avesse tratto, in definitiva, una trama da film horror, proprio al limite della più pura invenzione. Uno stile altamente fuorviante che disturbava decisamente in pieno “le intelligenze del regime”. Una genialità assoluta, e per questo il potere cominciò a temerne, di Zulawski, proprio l’intelligenza artistica.
Ed il secondo film, Diabel (Il diavolo), 1973, che non si potrà mai vedere proiettato in nessun contesto, nazionale ed internazionale, gli costerà effettivamente l’ esilio forzato in occidente. Insomma il cinema di Zulawski in patria veniva tacciato di essere, semplicemente, contro il sistema totalitario. Decisamente una drastica e palese vendetta del sistema di potere. E stessa sorte toccherà ad un altro film che, intanto, Zulawski cercherà di girare ancora a Varsavia: Sul globo d’argento, 1977. Questo titolo è un film che Zulawski, in patria, non riuscirà nemmeno a terminare, risulta girato solo l’ottanta per cento ed è sopravvissuto proprio per miracolo. Sul globo d’argento come ci ha ricordato lo stesso Zulawski è tornato in vita solo nel 1988, rimontato poi con immagini fisse e con alcune sequenze girate nuovamente, perché conservato, insieme alle scenografie e ad alcuni oggetti di scena, dai tecnici che avevano aiutato il regista nella realizzazione. Ma Sul globo d’argento (una sceneggiatura tratta da una trilogia di libri del prozio di Zulawski, che racconta di una missione terrestre in fuga su un altro pianeta, sempre alla ricerca della libertà) resterà in definitiva un film sconosciuto. Ma siamo, in fondo anche per questi contesti drammatici, finalmente, alla vigilia della filmografia più conosciuta di Andrzej Zulawski, siamo al suo cinema migliore, certamente il più compiuto: i già citati L’importante è amare e Possession, film quest’ultimo che ha rilanciato Zulawski nel mercato internazionale, ma anche, a seguire, La Femme publique, 1984, L’amore balordo, 1985, La sciamana, 1997, La Fidelitè, 1999.
Dice Andrzej Zulawski: “La genesi di Possession?, il film del mio rilancio internazionale? Ebbene, Possession era un film a cui pensavo da molti anni, da quando ero quasi ostaggio in Polonia. Quando mi sono ritrovato in America, dopo le mie vicissitudini in patria, ho convinto un produttore americano spiegandogli semplicemente la trama in questo senso: il film che voglio girare è la storia di una donna che fa all’amore con una piovra. Così ho convinto il produttore americano a versarmi un milione e mezzo di dollari sull’unghia, così, davvero semplicemente”.
Ed oggi, Andrzej Zulawski?: “Oggi sono uno scrittore, mi definisco uno scrittore del mio tempo. Il cinema in fondo è anche una conseguenza, poi certamente continua ad essere una grande passione. Poi, dal mio punto di vista, sento che c’è un altro motivo per fare il cinema: attraverso l’obiettivo della macchina da presa sento davvero di poter comunicare onestamente i miei eccessi, i miei deliri, i miei incubi. Con la scrittura invece non rinuncio al privilegio di poter davvero ragionare. Obiettivi sempre presenti: la politica, gli uomini, la cultura”.
Dunque il cinema non è una capitolo passato dalla biografia di Zulawski?: “Certamente no, tanto che ho allo studio un film da realizzare quanto prima, almeno lo spero. Credo di intitolarlo Cosmos”. Di più non è possibile sapere. Andrzej Zulawski è un artista ostinatamente votato davvero alla dismisura. Prodigo, cultore, narratore, foriero di un mondo in cui restano predominanti, come ci ha spiegato “la corruzione di una classe e la perfidia di una cultura”. Anche questa convinzione ha fatto concorso, pensiamo, affinché Andrzej Zulawski preferisse, negli ultimi anni e proprio nel cinema, il silenzio alle ipotesi varie di compromesso.
Giovanni Berardi