di Evi Mibelli
Angelo D’Arrigo volava col deltaplano. Una passione che mise al servizio dei grandi rapaci e degli uccelli migratori.
“Volare come gli uccelli…” era il suo sogno fin da ragazzo, e questa attitudine l’ha messa al servizio non solo dello sport e della tecnica – di cui è stato protagonista indiscusso – ma della natura e dei grandi signori del cielo: aquile, condor e uccelli migratori. Angelo D’Arrigo non c’è più dal 26 marzo del 2006, sottratto alla vita e ai suoi progetti in un inspiegabile, quanto banale, incidente di volo. Aveva 45 anni. Ma ha lasciato un’eredità importante che altri hanno raccolto, prima fra tutti la moglie Laura Mancuso, che a lui ha dedicato il libro In volo senza confini (ed. Corbaccio), nel quale ha descritto, in pagine di non comune intensità, le esperienze e l’entusiasmo di un uomo rimasto stregato dalla magia del volo degli uccelli.
Da dove cominciare allora? Per esempio dalla storia di Inca e Maya, oggi liberi di volare nelle vastità dei cieli andini, compagni d’avventura e “maestri” di D’Arrigo nel sorvolare l’Aconcagua… Il suo deltaplano, infatti, riproduceva la forma dell’ala dei condor; forma che, insieme a materiali di altissima tecnologia e ad una preparazione atletica e psicologica minuziosa, ha consentito al campione catanese di volare ad altitudini mai toccate prima da un essere umano, per 4 ore a 60 gradi sotto zero, tra turbolenze spaventose e scarsità d’ossigeno.
Ma ciò che affascina è il suo impegno ecologico e protezionistico. Inca e Maya sono nati in cattività, presso un breeding center vicino a Vienna. Scopo di questi centri è allevare individui di specie a rischio e tentarne il successivo reintegro in natura. Di Inca e Maya D’Arrigo è stato il tutore, il padre e la madre, ha elargito loro il cibo imbeccandoli e insegnandogli a volare… un progetto maestoso, immortalato da filmati spettacolari che hanno fatto il giro del mondo. Un progetto che D’Arrigo non ha potuto veder compiuto, ma del quale Laura si è fatta carico, portandolo a termine, pochi mesi dopo la sua scomparsa. Altri, invece, sono i progetti di salvaguardia di cui è stato fautore e testimone. Come quello che lo vede coinvolto in prima persona dallo scienziato russo Alexander Sorokin, direttore dell’All Research Institute for Nature Protection.
L’ICF (Internationale Crane Foundation), una fondazione statunitense per la protezione delle gru – meravigliosi uccelli veleggiatori – lavorava da alcuni anni con i biologi di Sorokin per la reintroduzione delle gru siberiane, una specie ad altissimo rischio d’estinzione. Ne rimanevano soltanto venti esemplari, e i tentativi di reintroduzione nelle aree di nidificazione (circolo polare artico) continuavano a fallire. Perché? La lunga rotta migratoria che dall’Iran giunge in Siberia – e viceversa – non è “tracciata” nel DNA di questa specie, ma viene insegnata alle giovani gru dai genitori… Fu questo il ruolo chiesto a D’Arrigo d’interpretare: fare da “genitore” e da capo-stormo a un gruppo di sei esemplari di cuccioli di gru siberiane. Ancora oggi Don, Onega, Pronja, Bitjiung e Dnepr che hanno seguito Angelo D’Arrigo lungo la rotta, tra correnti ascensionali e punti di sosta, ritornano indietro per ripartire di nuovo, ogni stagione, pronte a guidare le giovani gru verso il loro futuro.
(Credit foto Angelo d’Arrigo Official Site)
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