Angels in America
HBO
2003, 6 “capitoli”
Cambio leggermente genere e parlo di questa meravigliosa (e lo ripeterò più e più volte) miniserie americana tratta dalla pièce teatrale Angels in America: A Gay Fantasia on National Themes scritta da Tony Kushner nel 1993 e vincitrice del premio Pulitzer. Non so come mai mi sono messa in testa di guardarla, stavolta nessuno me l’ha consigliata (anzi, sono io ora che la sto suggerendo a mezzo mondo), ho avuto anche una strana sensazione di dèja-vu, come se ne avessi già visto un pezzo in passato, tipo su Telemontecarlo o qualcosa del genere.
Di cosa parla – Eh, bella domanda. Di cosa parla?! Non lo so con precisione. Ovvero, so ovviamente di che parla, saprei raccontare la trama, ma di cosa parla sul serio resta un po’ un’incognita. Intanto scrivo quello che so, al resto ci penseremo poi. Siamo a New York nel 1985, Reagan è il presidente, l’AIDS “esiste” ufficialmente solo da pochi anni ed è percepita come una malattia esclusivamente degli omosessuali. In questo scenario si muovono i nostri personaggi. Ci sono Prior (sì, il nome è proprio Prior, nella miniserie si fa tutta la cronistoria del nome) e Louis, solida coppia gay, fino a quando il sarcoma di Kaposi non compare sul petto del primo mandando in crisi il secondo. Ci sono Joe e Harper, lui avvocato repubblicano, lei casalinga dipendente dal Valium che le provoca vivide allucinazioni, entrambi mormoni, entrambi infelici a causa dell’omosessualità repressa di lui. C’è Roy Cohn, avvocato realmente esistito (qua la sua biografia in inglese), malato anch’esso di AIDS ma che rinnega completamente la sua omosessualità. C’è Belize, infermiere gay e a volte drag queen. C’è Hannah, la madre di Joe. C’è Ethel Rosenberg, o meglio, c’è il fantasma di Ethel Rosenberg, giustiziata nel 1953 per essere stata una spia sovietica. C’è Emily, infermiera in ospedale. Le vite di questi personaggi si intrecciano in lungo e in largo per quasi 6 ore di visione creando legami profondi e terribilmente umani. E poi certo, ci sono gli angeli. Sì, è un’opera dove la religione è estremamente presente. Innanzitutto la religione ebraica (basta sulla colpa e non sul perdono, viene detto all’inizio), poi quella dei mormoni, e più in generale i riferimenti biblici si sprecano, per non parlare delle visioni, del misticismo, del modo di relazionarsi con Dio e con la propria fede. Sugli angeli veramente non posso dire nulla perché svelerei troppo, ma quando scoprirete di cosa si parla rimarrete con la bocca spalancata tipo per un quarto d’ora. Si è capito un po’ di cosa parla no?
Qualche citazione degna di nota.
- Harper: …I’m a Mormon.
- Prior: I’m a homosexual.
- Harper: Oh! In my church we don’t believe in homosexuals.
- Prior: In my church we don’t believe in Mormons.
“I hate America, Louis. I hate this country. It’s just big ideas, and stories, and people dying, and people like you. The white cracker who wrote the national anthem knew what he was doing. He set the word ‘free’ to a note so high nobody can reach it. That was deliberate. Nothing on Earth sounds less like freedom to me. You come to room 1013 over at the hospital, I’ll show you America. Terminal, crazy and mean. I live in America, Louis, that’s hard enough, I don’t have to love it. You do that. Everybody’s got to love something.”
“I pray for God to crush me, break me up into little pieces and start all over again.”
“We have reached a verdict, your honor. This man’s heart is deficient. He loves but his love is worth nothing.”
So che se dico che è un capolavoro qualcuno dirà Eh ma dici sempre che son tutti capolavori!. Sì, io scelgo di parlare solo delle cose belle. Non voglio perdere tempo nel criticare quelle brutte, preferisco, nel mio piccolo, tentare di diffondere il più possibile la bellezza e Angels in America è bellezza allo stato puro.