Pollice: su
Tornando un po' alle uscite cinematografiche dello scorso anno e spulciando in rete alla ricerca di qualcosa di interessante da guardare, mi sono imbattuto per caso in un film horror completamente sfuggito al mio radar: sto parlando di Anguish, dell'esordiente (dietro la macchina da presa) Sonny Mallhi, pellicola indi canadese dalla duplice anima che oscilla pericolosamente tra dramma e classico horror sovrannaturale. E Anguish (angoscia) questa anima dalla doppia faccia la rispetta nella sua totalità, persino nel momento in cui sceglie di prendere una direzione ben precisa che in un certo senso abbandona quell'ambiguità iniziale su cui aveva costruito la propria atmosfera.
La storia è quella di Tess, una ragazzina da poco trasferitasi con la giovane madre in una casa nuova, in un paese nuovo. Tess però non è una normale adolescente, bensì una ragazza dal passato tormentato, che ha vissuto sulla propria pelle il calvario della malattia mentale. Quello però è il passato: Tess adesso sta bene, prende le sue pillole, parla tramite Skype con suo padre, soldato in missione, e gira per la nuova città a bordo del suo skate. Peccato che una presenza sembri prenderla di mira, iniziare a perseguitarla, quasi voglia qualcosa da lei. Ma è davvero una presenza sovrannaturale o è solo la malattia di Tess che non la vuol lasciare in pace?
Una ragazzina con un passato di problemi mentali non meglio identificati, allucinazioni e dolore, quel dolore che si tatua sul volto e diventa un marchio, una maschera impossibile da togliere. Questo è Anguish. Anguish sono occhi che chiedono aiuto, che osservano il mondo con lo sguardo di chi ha visto più di quanto ad altri verrà mai concesso, giovani iridi a cui la realtà si è mostrata nei suoi risvolti più caotici e ambigui. Ecco, appunto, ambiguità. Come ho già accennato, su questo si basa la prima parte di un film che si insinua lentamente e si sviluppa quasi per sottrazione. La sottrazione di parole, con una protagonista quasi muta e di una madre che parla anche per lei ma si auto priva, lentamente, della propria individualità di donna. La sottrazione di una figura paterna, lasciata oltre lo schermo di un PC, lontana e impotente, assente. La sottrazione di una vita mostrata nel suo sviluppo più banale, meno forzato, con Tess che se ne va in giro e osserva tutto come fosse la MDP, distaccata e apparentemente assente. La sottrazione di spaventi telecomandati, che lasciano il posto ad una paura atavica, che cresce senza far rumore raggiungendo culmini di suggestiva bellezza visiva. Sulla sottrazione si basa quel procedere lento e cadenzato, scandito da musica folk ed effetti sonori martellanti, elettronici, alienanti, che descrivono perfettamente Tess e il suo essere nel mondo, la doppia natura di una realtà che, quando si confonde, diventa l'anima horror di un dramma doloroso e malinconico.
E ci cadi in mezzo, a questo film. con quel dolore che respiri e diventa condensa nei polmoni, in mezzo al freddo di un Canada abbandonato agli alberi e alle strade di periferia. Osservi il viso di un'attrice vera (Ryan Simpkins) che nonostante la giovane età sa incarnare il proprio personaggio e renderlo vivo, facendoti del male senza strafare o gigioneggiare, con la calma loquace che poi esplode in terrore vero. Scappi con Tess, mentre guardi il film; cerchi di fuggire alla paura nonostante tu sappia che ti inseguirà per sempre, come lascia intuire il finale del film. Fuggi dall'impotenza, fuggi dalla rabbia, fuggi dalla delusione, mentre la maledizione che hai addosso si concretizza e diventa riflessione: sull'abbandono, sulla solitudine, sull'impotenza. Anguish, in fondo, è come il suo incipit spietato: qualcosa di straziante e malinconico che ti afferra di sorpresa nel mezzo del banale vivere quotidiano. Mallhi, con questo film, ci parla del modo in cui osserviamo il "nostro" mondo e lo viviamo, dandolo per scontato. Mentre esiste altro al di là di quello che possiamo vedere e, a volte, percepire. Quell'altrove che scambiamo per illusione, allucinazione, insanità mentale. E che ognuno di noi, a modo suo, vive in completa solitudine, spesso attraverso semplici intuizioni. Anguish, che nella seconda metà diventa un film sulle possessioni rispettando la tradizione cinematografica (da l'Esorcista ai giorni nostri), scosta il velo, va oltre il sipario, e fa parlare ciò che spesso rimane muto e che chiederebbe soltanto un'ultima possibilità di esprimersi. Non dirò altro per non rovinare, a chi vorrà vederlo, il gusto della scoperta e dei brividi che questo film concede, se ci si lascia coinvolgere. Ci tengo però ad aggiungere che Anguish, a mio modesto parere, si rivela l'alternativa a quell'horror urlato, tutto botti e spaventi un tanto al chilo, che ormai impazza senza ritegno. Quasi fosse una versione sublimata di Insidious, più malinconica e crepuscolare. Il cinema che piace a me, insomma. L'horror che mi fa ancora piacere guardare.