Essere ospiti a Venezia dagli zii.
Degli strani zii.
Degli zii come Vittorio Gassman e Catherine Deneuve.
In un vecchio palazzo storico.
In un palazzo dalla cui soffitta si levano nottetempo urla e risate diaboliche spezzate, di tanto in tanto, dalla dolce musica di un pianoforte.
E' un'esperienza inspiegabile per Tino Zanetti.
Lui, studente d'arte, alle prese con le prime iniziazioni adolescenziali e con due parenti anomali che sembrano più fratello e sorella che marito e moglie.
Lui, diviso tra le assurde dinamiche quotidiane al pianterreno e la follia di un uomo che alberga di sopra.
Ma chi è quel pazzo? Un gemello. Il fratello gemello dello zio Fabio. E' uscito di testa e vive confinato. La sua unica vetrina è lo spioncino della porta, teatro deformante delle sue performance a favore di pubblico. E' lui l'anima persa e mai ritrovata.
Tino ne è spaventato. Non è possibile cogliere il lato comico della sua perversione. Ha ucciso la piccola Beba, quell'uomo. E nessuno può garantire che ora sia innocuo. Lei era poco più che una bambina felice. Il mito dell'innocenza corruttibile. L'alter ego di Tino, ancora giovane e innocente "con quell'aria da seminarista".
La stanza è proibita. Nessuno deve accedere alla stanza proibita di sopra. Troppi i segreti. Troppa verità tutta insieme, oltre la porta. E la verità può sopraffare, assassinare la logica, rendere opaca la lucidità.
E quella fessura nella porta, quell'occhiolino nel quale Risi ci costringe a guardare insieme a Tino è un caleidoscopio di sensazioni mescolate. Ironia. Timore. Pena. Paura. Le stesse che la vita, come il cinema, infondono ogni giorno nella nostra, di anima. Un'Anima Persa fu prima un capolavoro dello scrittore Giovanni Arpino nel 1966, poi film nelle mani del demiurgo Dino Risi nel 1977. Gassman e Risi già negli anni '60 avevano compiuto quel magico Sorpasso che si prefiggeva lo scopo di rappresentare il malvezzo italico per mezzo della metafora autostradale. Qui è Gassman che sorpassa se stesso con il suo inquietante doppio.