Se li si guarda da lontano Butch e Cassiopea sembrano Lilli e il Vagabondo: il primo, meticcio, è nero e bianco, con due grandi orecchie vellutate e la coda a ricciolo; la seconda è una Barboncina Toy dalle delicate nuances albicocca. Uno vive nella periferia di una grande città e ha come cuccia un vecchio contenitore in vetroresina; l’altra abita in appartamento e i suoi padroni le hanno appena comprato una “cameretta” in legno massello. Sembrano i personaggi di una favola, ma soltanto se li si guarda da lontano.
Cassiopea ha il taglio delle unghie una volta al mese e il dog-wash ogni settimana. A metà pomeriggio una giovane dog sitter la viene a prendere per una passeggiata nel parco e al rientro l’aspetta una vaschetta di paté della sua marca preferita, accompagnato da acqua fresca e, alla fine del pasto, un quadretto di cioccolata per cani (quella senza teobromina, dannosissima per i nostri amici pelosi). Ogni volta che esce con la sua famiglia viene vestita con abitini invernali o estivi, sempre di moda. Cassiopea frequenta quasi giornalmente il supermercato, accompagna la sua padroncina dal parrucchiere e dall’estetista, siede a tavola insieme alla famiglia nei ristoranti e nelle pizzerie, passa interminabili pomeriggi sul letto insieme alla figlia dei padroni, oppure in braccio per le strade del centro, a fare shopping. Le è vietato toccare la terra con le zampette, così come annusare le tracce odorose o fare amicizia con altri cani.
Al di là delle apparenze, la nostra Lilli e il nostro Vagabondo sono schiacciati ognuno per proprio conto da un contesto che non tiene in alcuna considerazione le loro esigenze etologiche, i loro bisogni e le loro attitudini. Forse la forma di maltrattamento più evidente, e anche quella che meglio si presta ad essere presentata dai media nelle sue tinte più fosche, è quella che riguarda Butch, privato di qualunque affetto, di un ricovero idoneo e di ogni possibilità di esprimere la propria personalità. Tuttavia anche quella in cui vive Cassiopea è una specie di prigione dorata, nella quale le è toccato in sorte di recitare il ruolo di delizioso giocattolo vivente. Un giocattolo che non può sporcarsi o sciuparsi, né tanto meno comportarsi “da cane” come invece sarebbe naturale che facesse.
In un senso o nell’altro, tutte le volte che neghiamo a una creatura senziente il suo diritto di esprimere se stessa (e la specie alla quale appartiene), di fatto le facciamo violenza. Ciò significa creare prima di tutto una creatura maltrattata e in secondo luogo un animale infelice. La riprova è che sia la storia di Butch sia quella di Cassiopea non hanno un epilogo positivo. Butch ha sviluppato un’aggressività implacabile contro quasi ogni essere umano. Il suo ultimo morso l’ha dato al padrone, subito dopo che gli era stata servita la pappa. Per questo comportamento Butch è stato giudicato un animale pericoloso, stupido e ingrato. Non avendo regolare microchip la soluzione migliore è parsa quella di abbandonarlo. Per qualche tempo Butch ha vagato nella periferia della sua città, poi è stato raccolto da alcuni volontari ed è andato ad aggiungersi a quei quasi centomila ospiti dei canili sanitari di tutta Italia, che molto probabilmente finiranno la loro vita in un box e che secondo una recente stima costano alla collettività qualcosa come venticinque milioni di euro all’anno.
Cassiopea tuttora è seguita da un veterinario: mangia solo se è imboccata, soffre di crisi violente se lasciata da sola, teme gli estranei, i gatti e il rumore delle auto. I padroni, convinti di avere a che fare con una creatura oltremodo delicata, moltiplicano le loro attenzioni, sperando che ciò possa aiutarla a recuperare un equilibrio e una vita normale.
In un senso e nell’altro abbiamo due creature che sono state private dei loro bisogni, sottoposte a sofferenze inutili e non rispettate nelle loro specificità. Sì, Dutch e Cassiopea sembrano Lilli e il Vagabondo, ma di una favola che non dovrebbe essere più raccontata a nessuno.
di Fosca Sensi