Animali prima del diluvio di Chiara De Luca – Recensione di Narda Fattori

Creato il 23 settembre 2010 da Viadellebelledonne

Questa raccolta antologica di poesie uscite su questa o quella rivista, in questa o quella occasione, su altre antologie, potrebbe far pensare a un prodotto disomogeneo, raccogliticcio. Grande, quindi, è la sorpresa procedendo attraverso una pienezza di temi e di dettato che si situano sulla stessa parallasse di una poesia lirica priva di svenevolezze, contratta anzi verso il nocciolo più duro dell’esistente, che si sgrana nel rosario dei giorni con i suoi trasalimenti, le sue mete lontananti e disattese, le stanchezze che non sanno risolversi in atarassie e quel filo d’aria che a finestre serrate pura entra e romba.

Perché così è la vita: un fiume in piena che travolge, un rigagnolo di rifiuti, un ruscello ridarello, un fosso di campestri utilità. Ma il mare… il mare è sempre oltre, altrove, si sbuccia la pelle e il cuore.

Ma resta la meta agognata, il perdersi fra le onde sorelle che ti abbracciano e da tante si fanno una.

Ovunque si volga lo sguardo lancina una ferita, frusta una fronda e ciò che siamo, ciò che abbiamo creduto di costruire si è rivelato più fragile di un castello di carte: mani “instupidite” a frugare “nella gola aperta del dolore”…

E da tanto e da troppi, si impara a difendersi con scarso esito come si può: “Avrei voluto perdermi di notte/ dietro a un volo estremo liberato”; ho imparato a stare nelnondire /  tagliandolo soltanto di sorrisi / e dove mi hai lasciata quest’inverno / senza una parola cui dar fuoco per scaldare”.

Per un poeta essere collocato o collocarsi nel nondire è come privarsi del pane, scegliere l’anoressia, la via lunga per morire. Allora eleva la supplica di un balbettio almeno, per non finire. Però ogni tanto la ferma costretta, il silenzio imposto si colma del pieno di sé, ricuce l’identità, risente il battito del cuore “e fermarsi”, dunque, “è far tornare”.

Ma che cosa è vivere? Prima di tutto è amare. E la ferita d’amore è quella che suggella l’esserci in un luogo e in un tempo e aver ricevuto lo statuto d’esistenza, con molti dolori da pagare quando la pienezza si frantuma e si resta non solo soli, ma confusi, perduto nome e statuto.

E ancora: vivere è immergersi nel flusso degli eventi che ci sfiorano, che ci sballottano, che tentano di imporre velocità e direzione; opporsi si paga in solitudine e mille tagli di cocci di bottiglia, per dirla con il poeta: “Nella terra degli occhi lesti seminiamo / svolgendo germogli in foglie nelle mani / quando scatteranno le tagliole della luce / scivolerà nel nero la bestia del pudore / carpiranno solo vento tra le piume.”

Ho riportato per intero questa cinquina perché indicativa, a mio parere, dell’intero percorso poetico del volume: gli “occhi lesti” sono le occasioni, le infinite tentazioni, le innumerevoli bellezze; e la bellissima immagine “svolgendo germogli in foglie nelle mani” sta a rappresentare l’impegno della poetessa, di molti di noi consci, nell’accarezzare il seme perché germogli. E il seme è la vita, l’amore, la compassione, la fratellanza; se saremo riusciti in questo compito “le tagliole della luce” potranno sottrarci solo piume e lasciarci il volo e la possibilità di tornare a godere di un malconcio statuto di identità, di vita ancora.

Vorrei provare a cogliere le illazioni che leggo nel titolo: prima del diluvio gli animali, e l’uomo, erano ingenui, innocenti; poi la promiscuità quotidiana e la quotidiana battaglia per l’esistenza ha tagliuzzato l’ingenuità, l’ha annotata, ha creato gorghi e grumi, e tutti hanno imparato la fatica e il dolore. Però si può percorrere un tragitto riflessivo contrario: prima del diluvio gli esseri erano incoscienti e bruti. Il diluvio li ha posti davanti alle scelte, alla divaricazione dei percorsi.

Chissà a quale immagine Chiara ha appeso questo titolo…

Narda Fattori

***

Ci vorrei stanotte ritornati
animali prima del diluvio,
lasciarci il coraggio di un approdo
sicuri incastonare la prua della nave
nella sconosciuta baia del vissuto.
Raccogli naufrago nel vento il mio sbandare
agitarsi di mani appese a rami emersi,
appuntando gli occhi brancolanti a una cima.
Perché la pelle nuda da sola non riscalda,
avvolgersi del manto generoso dell’infanzia
accovacciati in fondo a una tana condannata
dove il gioco lento è scivolato nel massacro,
riapriamo nella carne cicatrici per leccare
animali prima del diluvio.

***

Vedi com’è chiara questa luce di settembre,
limpida e tagliata senza tregua in trasversale
da lame d’aria così fredda che ti chiedi
come facciano a convivere col sole al suo placarsi.
Vedi com’è bella Bologna specie a piedi
nelle strade che improvvise rinascono nel centro
quando arrossa e commuove tutto nella sera.
Sembra quasi possibile ogni cosa al suo finire

Chiara De Luca, animali prima del diluvio, Kolibris edizioni, 2010, € 12.00


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