Anna Bergna: questa opportunità di piantumare

Da Narcyso

Si sente l'ombra di Lucrezio in questo libro di Anna Bergna ed è un'indicazione che si può puntellare ragionando intorno a due risultati: il primo riguarda la necessità di un verso spesso lungo - non inganni l'andare a capo - con lo scopo di superare l'effetto del frammento bruciante, dell'immagine sontuosa, dell'altezza fonica; il secondo è la musa del ragionare intorno alla sostanza delle cose naturali, al loro srotolarsi e nascondersi davanti alla possibilità del senso, alla tragica necessità della verità.
Nello sfondo abita il grande non spazio del Nulla, l'essere che potrebbe essere e non è ancora, a cui urge l'apparire, la deflagrazione; quindi il dolore rilkiano dell'angelo che vuole essere cosa, materia nominabile e irredenta; il viandante e l'esiliato nel mondo, dunque:

Sguardo del viandante all'orizzonte;
vita che dalla sodaglia eleva un luogo,
una radura ordinata,
domata da tracce conosciute:
un rigo di urina sulla soglia,
il buio posato sul fico nel cortile.

Questa opportunità di piantumare:

un pruno, un gelso, una marruca spinosa,
il bisbiglio sottobosco
dei convenuti dopo l'acquazzone,
covili nella terra per non morire al gelo

e sulla collina una panchina circolare.

pag. 37

Nulla di astratto in questa poesia, fatta di momenti vissuti e della sostanza concreta dei segni. Questi pezzi di materia, tuttavia, sono evocati dallo spazio di una sparizione già avvenuta, verso la strada dell'archiviazione. La poesia di Anna Bergna s'insinua proprio in questo passaggio, intercettando ciò che può essere evocato e consegnandolo allo spazio periglioso della parola.
In questo modo le cose vengono sottratte alla memoria soggettiva, proprio perché affidate alla dimensione vibrante della parola utile per tutti, neanche più nostra, o dell'evento che l'ha suggerita: si veda il bellissimo testo in cui si evoca il peso contro la vescica, del figlio che verrà, scenario non umano ma animale, se non addirittura panico: rottura dell'equilibrio immobile, nascita scomposta delle cose:

Dove il Brembo cede
la sua esistenza all'Adda,
sorge il Villaggio Crespi,
come il giardino dell'Eden
accanto al Tigri ed all'Eufrate.
Progetti genitoriali,
esistenze recintate.

Punto di fuga alberato
della centrale prospettiva,
un famedio assiro lombardo
volge le spalle ai fiumi
e chiude,
tra ali di pietra, un prato
dove minute lapidi emergono
come resti di alberi troncati.
E il primo tronco porta il nome
di una gemma nata
in una notte sfortunata.

Ricordo la mia notte,
quando il bambino premeva la vescica e io pellegrinavo in bagno,
di aver guardato la culla che aspettava,
di essermi detta "ricorda" l'istante,
questa casa, questa attesa,
questo guscio vuoto
e ora, pur tra le prime nebbie,
ricordo che pensavo
"suo comunque vada".

E l'operaia in un cotonificio con le decorazioni in cotto,
avrà pensato uguale in quei giorni d'inverno,
mentre andava al lavatoio
e anche dopo, mentre glielo portavano via
in una tela bianca.

Perché la biologia è nostra madrina,

più dell'argine che la storia impone
e del battesimo prescritto della fede.

Rotolano generazioni,

prima nelle stanze rosse,
poi nel famedio terragno dell'umano.

pag. 25

Qui leggiamo di una scena semplice, calata nel rapporto con tutte le creature partorienti, o che partono: gli animali dotati di anima. Il tradizionale splendore delle scene di natività, è ribaltato nel rapporto umanissimo, e per pietas, dell'evento che non si mostra, nella negazione della vita, come se, tra le braccia delle madri, noi vedessimo i bambini morti della strage degli innocenti.
I corpi, insomma, abitano la solitudine della domanda, sono ciò che sono, ma anche ciò che perdono di loro stessi e ciò che per transumanza, ricevono da altri corpi. Sono in una viandanza fatta di geografie, direzioni, punti cardinali, immobilità e precarietà :

...
Nella mia immobile precarietà,
nella precarietà della fiammella
sullo stecco breve, domino
un frammento di mondo
[la superficie del pascolo tra l'orizzonte e il naso]
eppure in me qualcosa dipana un universo,
narra una storia dalle premesse oscure,
indaga un corpo gravido
di grotte nascoste e pipistrelli.

Forse c'è qualcosa là - mi dico -
sull'estrema alta riva
che infiamma il tronco fradicio
e ordina gli eventi.
...
p. 15

*

...
Volgi verso di me uno sguardo
e dall'estrema opposta riva
mostrami ciò che io non vedo.
Fai del mio ritratto steso
un ologramma,
sii continente inesplorato
che si frappone all'India,
serpente piumato attorcigliato
alla salamandra dei miei boschi.

Nell'oscuro degli enigmi
offri chiarore di un bivacco,
al ruminare del tempo
porgi trifoglio grasso,
stendi sugli altopiani della miseria
rose a perdita d'occhio. Compassione.

Giungi
a me che ho una sola vita
un'esistenza terrestre
un tempo angusto
un luogo circoscritto
e nessuna sacra scrittura
ad indicare il senso.
Rubo da te oro e semi di cacao.
...
pag.32

Nella seconda parte del libro si palesa la dimensione apertamente circolare del viaggio, trasmigrazione e ritorno verso il luogo dell'origine, delle colture, degli alberi da frutta.
Leggiamo di paesaggi lungo le rive dell'Adda, in cui l'angelo della Storia fa a pugni con la ciclicità, con l'impossibilità del pensiero a giungere a una conclusione:

...

"L'angelo della storia" suggerì

e mi parlò di Benjamin, dell'acquerello di Paul Klee, della tempesta che srotola le pergamene e non consente di chiudere le ali, degli occhi spalancati verso le rovine. Disse del baratro sopra la scogliera.
...
pag. 39

In questi ultimi testi la dimensione della riflessione sembra assumere le vesti trasparenti della cosa stessa, vista e riflessa, appunto, nello specchio della parola in viaggio, bateau ivre sulle increspature di un fiume bloccato dalla diga.

Si avvertiva, avvicinandosi alla Centrale Bettarini,
la tensione delle increspature:
l'accelerare del fiume verso la cascata,

l'accumularsi del disordine, l'inevitabile esplosione

e i cigni che tornavano in volo
dove l'Adda si lascia navigare.

Cosa ci impedisce di nuotare a ritroso,
e un po' di lato,
portarci in acque lente, dove la speranza
riesca a respirare?

Ritentare
con una chiatta sul canale.

pag. 40

Sebastiano Aglieco