“-Che cosa sono stati questi dieci anni per lei? -Direi che ho vissuto senza la ragione, come tanti. Ho vissuto come vuoto e sofferenza. Non parlo naturalmente della piccola ragione che ciascuno conosce e adopera: fare questo, fare quell’altro. Mi riferisco alla comprensione delle cose e di me: non capivo le cose del mondo, non capivo me. Tutto mancava e crollava; era sera dappertutto. Ma bisognava aver pazienza. Questa pazienza non l’ho avuta sempre. Ho conosciuto giorni di collera, e insieme di annientamento. Una brutta vita, direi. Mi aiutava un pensiero, qualche volta: che ogni suo giorno (di questa vita), e ogni suo istante, sebbene nero, erano un giorno e un istante preziosi: la preziosità gli derivava dall’essere il presente. Davvero questo presente è qualcosa d’indicibile. Sono esperienze personali, certo, non facilmente comunicabili. Ma ecco una cosa che si può capire: il fatto di essere qui, su questo pianeta (noi diciamo: la Terra, ma è un nome che gli abbiamo dato, in realtà è un corpo celeste, inconoscibile nella sua essenza), il fatto di essere qui è talmente al disopra di ogni immaginazione… e il fatto di esistere, in se stesso - dico il solo fatto di esistere -, è così straordinariamente, direi gravemente, perché il privilegio fa paura, al disopra di ogni merito minimamente sospettato! Insomma, comunque sia, questo vivere è cosa sovrumana. Io lo sento eccezionale, del tutto! Forse è l’inferno. Ma questo non toglie che sia qualcosa di sovrumano. E per tornare al che cosa, dunque, mi aiutava, e mi ha aiutato un po’ in tutta la vita, devo riferirmi a questa sensazione interiore, poco dicibile, della vita come chiamata, per tutti, scelta non nostra, come particolare e obbedienza a un disegno che necessita di quel particolare. Il particolare può essere minimo, quasi invisibile; invisibile, anzi, nella sua insignificanza. Ma il disegno è eccelso. Il particolare - la pietrina del mosaico - “lo sente”, qualche volta; e allora si calma, accetta il suo posto. ”
“-Che cosa sono stati questi dieci anni per lei? -Direi che ho vissuto senza la ragione, come tanti. Ho vissuto come vuoto e sofferenza. Non parlo naturalmente della piccola ragione che ciascuno conosce e adopera: fare questo, fare quell’altro. Mi riferisco alla comprensione delle cose e di me: non capivo le cose del mondo, non capivo me. Tutto mancava e crollava; era sera dappertutto. Ma bisognava aver pazienza. Questa pazienza non l’ho avuta sempre. Ho conosciuto giorni di collera, e insieme di annientamento. Una brutta vita, direi. Mi aiutava un pensiero, qualche volta: che ogni suo giorno (di questa vita), e ogni suo istante, sebbene nero, erano un giorno e un istante preziosi: la preziosità gli derivava dall’essere il presente. Davvero questo presente è qualcosa d’indicibile. Sono esperienze personali, certo, non facilmente comunicabili. Ma ecco una cosa che si può capire: il fatto di essere qui, su questo pianeta (noi diciamo: la Terra, ma è un nome che gli abbiamo dato, in realtà è un corpo celeste, inconoscibile nella sua essenza), il fatto di essere qui è talmente al disopra di ogni immaginazione… e il fatto di esistere, in se stesso - dico il solo fatto di esistere -, è così straordinariamente, direi gravemente, perché il privilegio fa paura, al disopra di ogni merito minimamente sospettato! Insomma, comunque sia, questo vivere è cosa sovrumana. Io lo sento eccezionale, del tutto! Forse è l’inferno. Ma questo non toglie che sia qualcosa di sovrumano. E per tornare al che cosa, dunque, mi aiutava, e mi ha aiutato un po’ in tutta la vita, devo riferirmi a questa sensazione interiore, poco dicibile, della vita come chiamata, per tutti, scelta non nostra, come particolare e obbedienza a un disegno che necessita di quel particolare. Il particolare può essere minimo, quasi invisibile; invisibile, anzi, nella sua insignificanza. Ma il disegno è eccelso. Il particolare - la pietrina del mosaico - “lo sente”, qualche volta; e allora si calma, accetta il suo posto. ”
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