Anna Politkovskaja. Parlare di lei per parlare di oggi.

Creato il 13 ottobre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Era l’ottobre di otto anni fa, precisamente il 7 ottobre del 2006, quando la grande giornalista russa Anna Politkovskaja veniva uccisa da un killer anonimo con dei colpi di pistola.

Il nome della Politkovskaja nella storia del giornalismo e tra gli appassionati in materia è famoso ed è nobile. Nasce a New York nel 1958, ma essendo russa i suoi interessi, e i suoi più grandi momenti di giornalismo, sono rivolti alle questioni est europee più importanti: i reportage sulla guerra in Cecenia, dove si scagliò apertamente contro il comportamento bellico dell’allora Federazione Russa, che aveva invaso il territorio combattendo contro i separatisti ceceni sotto il primo governo di Vladimir Putin, e poi per i suoi articoli di critica serrata a quest’ultimo. Sosteneva di dover raccontare le cose viste con gli occhi e toccate con mano, e aveva uno stile realistico e crudo.

Le battaglie della Politkovskaja erano incentrate soprattutto sui diritti umani e sulla democrazia, i suoi contributi giornalistici sono quanto mai attuali, sebbene si possa essere in disaccordo: le questioni di guerra tra la Russia e le zone limitrofe, il modello democratico di Putin, sono tutti argomenti che ancora adesso riescono a toccare il dibattito dell’opinione pubblica. Si è spesso parlato della crisi della Crimea come la più grande crisi diplomatica degli ultimi decenni, in cui c’era in ballo una guerra che poteva assumere dimensioni elevate. Putin ha più volte parlato della sua potenza nucleare, Obama ha più volte affermato che se la Russia non avesse fatto qualche passo indietro gli Stati Uniti sarebbero stati pronti sul piede di guerra per difendere la democrazia in Europa; guerra che per fortuna è stata solo menzionata ma mai davvero iniziata.

Nel corso della sua vita la giornalista aveva più volte ricevuto minacce di morte dai suoi oppositori fino a quando, il 7 ottobre di otto anni fa, mentre rincasava nel suo appartamento a Mosca, alcuni colpi di proiettile l’hanno uccisa sul colpo. Il cadavere fu ritrovato in ascensore, accanto ad una pistola e quattro proiettili.

La sua morte ha causato una grande mobilitazione cecena, russa e degli ambienti giornalistici di tutto il mondo, per fare chiarezza su chi fosse il cecchino e quale fosse il movente, dato che su niente pareva esserci la minima certezza. Solo nel giugno di quest’anno, però, si è concluso il terzo processo che ha sentenziato la pena definitiva dei colpevoli ma che ancora non ha saputo fare chiarezza su chi fosse la mente che ha ordinato l’assassinio.

Come ha affermato proprio la stessa Politkovskaja su se stessa, “Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano.”

Non si sa, e non è questa la sede del decretare quale sia la verità sulla scomparsa della grande giornalista, vero è che il discorso sulla libertà di espressione su cui si fonda il giornalismo è sempre complesso e mai esaustivo. Se non c’è libertà di parola non c’è giornalismo, e di conseguenza non c’è censura. Ma quale deve essere il rapporto tra la stampa e le istituzioni, e quale è in realtà?

Molti furono i pezzi di Anna Politkovskaja mai pubblicati, o che furono rivisti senza che lei ne fosse al corrente. Ma la Politkovskaja e la Russia non sono l’unico esempio: anche negli stati occidentali più liberali e progressisti la libertà d’espressione esiste fino a prova contraria. Si pensi, ad esempio, la televisione italiana, di cui si dice essere estrema la politicizzazione, tant’è che un episodio delle Iene di qualche anno fa che mostrava l’uso della droga in Parlamento non fu mai mandato in onda, così come la scena di una film americano in cui due amanti uomini si abbracciavano.

Senz’altro quella con cui si è vista combattere la Politkovskaja è una censura oltremodo grave: è il tentativo di portare al silenzio qualcosa di spinoso, che porta in superficie discorsi eticamente e politicamente scomodi. I suoi pensieri e le sue critiche su Putin erano pubblicabili integralmente solo dall’estero, e non avevano modo di avere grande risonanza in patria. Simile ai casi di vari giornalisti siciliani, spesso licenziati con motivi al limite dell’assurdo perché, fondamentalmente, parlavano troppo di mafia, o di rapporti politici. Nella tv nazionale degli ultimi anni più volte si è tentato di censurare il programma di Milena Gabanelli, o di Michele Santoro. Si è riusciti nel 2010 a porre il veto sulla partecipazione di Roberto Benigni a “Vieni via con me” di Saviano e Fazio, a quanto pare sotto le pressioni di Berlusconi.

Quattro anni fa, in Italia, considerato un paese libero e occidentale, due persone non hanno potuto fare satira su un personaggio politico.

Parlare della morte di Anna Politkovskaja non è parlare meramente della morte di una giornalista che sapeva fare bene, e onestamente, il suo lavoro. È aprire una serie di questioni quanto mai attuali nel panorama odierno dell’informazione, questioni di censura, di voci scomode, di democrazia, dei rapporti tra la Russia e i suoi Stati malgrado satelliti, della guerra. Come in una immensa iconosfera dove ciò che è successo anni fa può e deve aiutarci a capire, o per lo meno a pensare, a ciò che si vive oggi.


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