Lucchetti torna dietro la macchina da presa e si impegna nuovamente in una vicenda familiare. La storia è completamente inventata, mentre le emozioni sono reali (come ha dichiarato lo stesso cineasta). Film saldamente convenzionale e profondamente narrativo, Anni felici ha il pregio di appoggiarsi sulla bravura dei due interpreti, ma la pecca di dimenticarsi del contesto anni settanta.
Guido è un artista (pittore e scultore) avanguardista, mentre Serena (la moglie) è figlia di una solida famiglia piccolo borghese di commercianti. Hanno due figli Dario e Paolo, ma vivono una profonda crisi a causa dei tradimenti “artistici” di Guido e dell’inquietudine di Serena.
Lucchetti chiude la sua ideale trilogia familiare e, dopo aver narrato la storia di due fratelli con convinzioni diverse (Mio fratello è figlio unico) e quella tragica di un padre disposto a tutto pur di assicurare un futuro luminoso ai propri figli (La nostra vita), decide di scavare nel suo passato e mettere in scena le sue sensazioni di pre-adolescente e la passione che ha pervaso i suoi genitori. Eppure qualcosa non funziona, non gira alla perfezione. Tutto parte dalla scelta di ambientare la vicenda nel 1974 (l’anno del referendum sul divorzio), di accennarlo all’inizio per poi dimenticarsene nel proseguo della pellicola. Difatti Anni felici appare eccessivamente e saldamente convenzionale, un film dalla narrazione robusta e dall’intreccio semplicistico. Lucchetti, piegando al suo volere la storia (e introducendola con la sua voce fuori campo) , non riesce a costruire abilmente il periodo storico nel quale la pellicola è immersa. Pareva interessante tornare indietro nel tempo per poter pesare le differenze tra i rapporti pre-legge sul divorzio e quelli attuali, confrontare la passione travolgente tra due persone completamente diverse che per un’estate si lasciano andare alle loro sfrenate ossessioni. Eppure i caratteri appaiono abbastanza stereotipati (l’artista in crisi di creazione e la casalinga che scopre la propria sessualità attraverso un gruppo di femministe) e nemmeno l’alter ego di Lucchetti (in formato bambino) appare convincente.
Il regista si dimentica di rappresentare il contesto italiano (pregno di cambiamenti) e narra una vicenda eccessivamente semplicistica che a fatica si rivela accattivante. Infatti il regista non trova il bandolo della matassa e si limita a raccontare senza guizzi di creatività. Non basta porre in primo piano Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti (e la loro carica interpretativa) per sfondare lo schermo. Alle loro prove attoriali va aggiunta una sceneggiatura che sia capace di attrarre il pubblico, di convincerlo di trovarsi in un momento storico importante e gonfio di cambiamenti. In Anni felici i rapporti umani non risultano delineati così brillantemente; Lucchetti (cineasta tradizionale) cavalca nuovamente la convenzionalità narrativa, ma stavolta non si rivela una giusta scelta perché la sceneggiatura abbozzata non viene nascosta da caratteri di innegabile empatia e forza drammatica.
Uscita al cinema: 3 ottobre 2013
Voto: **