"Su gli arbori parmi / L'elettrico vapor, che asceso un giorno / Dietro a filo metallico percuota / Fulminando gli augei; che cadan essi / Giù cacciati dai rami in terra morti, / E lo spettacol nuovo Italia ammiri". Nonostante i raccapriccianti versi con si cui chiude il poema, Antonio Tirabosco, come molti cacciatori d'ogni tempo, fu un mite amante della natura, un profondo conoscitore della campagna, della vita e abitudini degli uccelli, oltre che appassionato ed esperto praticante dell'arte venatoria. Di origine e condizione non nobile, né particolarmente agiata, esercitò diversi uffici pubblici, scrivendo di tanto in tanto poesie d'occasione. Questo poema sulla caccia con "le reti, i lacci, il visco" è la sua opera più importante, quella per la quale è ricordato. Iniziò a comporla quando era già abbastanza avanti con gli anni, ma morto improvvisamente nel 1773, non riuscì a portare a termine il lavoro di lima intrapreso [...].
L'esemplare della biblioteca, di provenienza Giuliari, è uno di quelli stampati su carta distinta, di grande formato, spessa e liscia. Le incisioni che decorano il testo tipografico hanno un bel risalto. Sono quattro vignette, una nel frontespizio e le altre al principio dei tre libri, quattro iniziali decorate, e un finalino.
Alessandro Corubolo