(Another Earth)
Mike Cahill, 2010 (USA), 92'
uscita italiana: 18 maggio 2012
voto su C.C.

Rhoda (Brit Marling), brillante studentessa pronta a sbarcare al MIT, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo si mette alla guida della sua macchina e distratta dall'incombente pianeta che si affaccia nel cielo stellato (gli studiosi lo chiamano Earth 2) causa un incidente nel quale la famiglia di John (William Mapother) viene distrutta – lui sopravvive ma moglie e figlio muoiono nell'impatto. Pur avendo scontato una pena in carcere, la ragazza sente di dover ancora espiare il suo drammatico errore; l'occasione si presenta quando, per caso, scopre l'identità dell'uomo al quale aveva rovinato l'esistenza. Earth 2, in tutta la sua misteriosa forza, vigila sullo sfondo. Rappresenta forse l'occasione per tornare a vivere, evitando gli errori del passato?
Il primo lungometraggio di Mike Cahill, presentato con successo allo scorso Sundance Film Festival, è un esperimento coraggioso: come in uno specchio rotto, ognuno può vederci riflesso qualcosa di diverso. In una delle sequenze più significative e meglio riuscite di tutto il film, la protagonista e co-sceneggiatrice Brit Marling si reca in ospedale per far visita al saggio Purdeep (Kumar Pallana, indimenticabile maggiordomo ne I Tenenbaum) che ha deciso di rendersi cieco e sordo per scontare chissà quale peccato; alla domanda sul motivo per cui l'attempato mentore si era inflitto una tale punizione Rhoda risponde tracciando silenziosamente sul palmo della sua mano la parola “forgive”, perdonare. Il perdono del quale si parla va ricercato in se stessi: non basta il carcere, né una nuova vita imperniata sull'autoflagellazione (psicologica, sociale) quando è troppo grande la colpa dalla quale sfuggire. Another Earth è dunque un film sul perdono, sull'ossessiva ricerca di una “seconda opportunità” da cogliere per correggere gli errori del passato; funzionale metafora si rivela la simbolica Earth 2, sulla quale secondo gli studiosi dovrebbe esistere una copia di ognuno di noi, un alter-ego, che forse sta vivendo una versione migliore della nostra stessa vita. È inevitabile quindi che tutti i protagonisti ambiscano (più o meno consciamente) a raggiungerla, nella speranza di trovarci risposte. Il debito nei confronti del cinema di von Trier non si risolve solo nella presenza, passiva ma ingombrante, di un pianeta bluastro all'orizzonte (Melancholia) ma anche nei mezzi frugali con i quali il film è girato: spesso con camera a mano, tremolante, che mima sentimenti ed affezioni della traumatizzata protagonista. Ben poco è concesso allo “spettacolo”, ma questo non rende Another Earth meno piacevole da un punto di vista puramente estetico; anzi il suo fascino risiede proprio nell'atmosfera ipnotica che riesce a costruire, sin dalle primissime immagini – fascino al quale contribuisce l'ispirata interpretazione della Marling. Nonostante i suoi indiscutibili pregi, la narrazione risulta in qualche modo inconcludente, accademica, senza una chiara idea sulla direzione da intraprendere, e questo influenza il ritmo del film oltre alla sua coerenza. Così il finale, aperto a qualsiasi genere d'interpretazione, diventa un espediente furbo che raggiunge il suo obbiettivo (creare dibattito, se non altro) ma che allo stesso tempo mette ulteriormente in evidenza la natura fascinosa ma indefinibile dell'intera pellicola. Impalpabile