Va da sé, quindi che il più grande errore di "Ant-Man", oltre a quello di non aver lasciato carta bianca a Wright, assecondandolo in tutto e per tutto, sia quello di non aver archiviato e riscritto completamente lo script dopo l'entrata al timone di Peyton Reed, un regista sicuramente più malleabile, ma con poca, decisamente pochissima, personalità.
Quello che è stato quindi un diverbio di pre-produzione, anziché passare alle spalle, mette le radici e cammina come una formica per l'intero tratto della pellicola. Un continuo andare a cercare di svolgere il lavoro di qualcun altro, con il tentativo di farlo sembrare il più possibile uguale a come sarebbe stato se quell'altro l'avesse svolto in prima persona (ovviamente assumendo il controllo laddove prima c'era opposizione). Un compito estremo e scarsamente remunerativo, persino più complicato di quello che dovrebbe rendere un super-eroe ristretto e minuscolo, all'altezza degli imponenti e mitici Avengers. Eppure, guarda un po', la simpatia per entrare nelle grazie degli spettatori a Paul Rudd non manca, seppur più ricercata e meno a schiaffo di quella, per esempio, esercitata da Robert Downey Jr. con Tony Stark. Peccato venga messa al servizio di un racconto la cui spina dorsale sembra sia eretta a fatica, costantemente al limite tra equilibrio precario e crollo totale, manovrata con apprensione e annodata, nel terzo atto, a quella che pare a tutti gli effetti una riproposizione del primo "Iron-Man" con sfumature annesse.
Vedere per l'ennesima volta una pellicola Marvel terminare allora con un finale di seconda mano, speculare a quanto già visto, e neppure troppo apprezzato, è una scelta a dir poco scadente e incomprensibile, considerato poi che a detta di Joss Whedon, le idee pensate da Wright per "il suo" "Ant-Man" erano talmente interessanti da poterlo lanciare come miglior progetto mai realizzato su un cine-comic.
Ma come detto delle reminiscenze di ciò che poteva essere e non è stato in "Ant-Man" ci sono, rappresentate da quei geni, mantenuti e coltivati, con la pretesa di modellarli e di adattarli a qualcosa a loro fermamente discorde. Si percepisce, dunque, il taglio e l'atmosfera di un'opera distantissima dalle solite riconducibili ai super-eroi, appartenente al genere della commedia e divertente più di quanto, al contrario, sappia essere esaltante negli spaccati dedicati ai combattimenti e alle scene d'azione. Un concetto rivoluzionario accettato moderatamente e poi respinto nella sua versione definitiva, probabilmente perché nettamente in contrasto con quei calcoli standard a cui difficilmente è concesso di farsi da parte, rischiando. Un concetto, insomma, forse troppo british, dannoso alla politica autoritaria e spietata delle major, che sebbene in questo caso siano state meno severe, non hanno esitato a tenere duro il pugno e moderare i rischi.
Da queste parti, però, della politica delle major ci interessa poco, mentre enorme attrazione ci piace avere verso i concetti british e rivoluzionari in generale. Per cui a noi dispiace significativamente che l'"Ant-Man" di Wright non abbia visto luce, dispiace così tanto da fantasticare in qualche ribaltamento inaspettato che possa convogliare in una pace estrema e in una versione 2.0 (il sequel?) della sua creatura, magari in futuro.
Un futuro, speriamo, dove politiche e calcoli non avranno più la meglio sugli azzardi e dove noi potremmo godere di film non parzialmente ricalcati, ma bensì nuovi di zecca.
E se dovessero essere lo stesso né carne, né pesce beh, pazienza.
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