
Disponibile su Amazon Descrizione: Ha appena cinque anni, Gaio Giulio Cesare, quando il padre decide di portarlo con sé per una campagna militare nelle terre da cui ha preso il suo nome: la Germania. Perché suo padre è Germanico, il più potente e acclamato generale di Roma. L'uomo che molti vorrebbero incoronare imperatore, al posto dell'odiato e temuto Tiberio. Il comandante che non ha paura di nulla, tranne che di un essere umano: la moglie, Agrippina, nipote di Augusto, la madre dei suoi figli. Tra loro c'è Gaio, che non ama il suo nome e preferisce il soprannome che gli hanno dato i suoi amici legionari, cui procura schiave e divertimenti, ottenendo in cambio di essere accolto nel loro gruppo e ricevere i loro duri insegnamenti. Quel soprannome che prende origine dalle calzature militari troppo larghe che ha sempre ai piedi, le caligae. Quel soprannome che porterà con sé per tutta la vita: Caligola. E quando suo padre Germanico viene avvelenato ad Antiochia, la terza città più grande del mondo, il piccolo Caligola giura che avrà la sua vendetta. È in quel momento che capisce che essere amato non basta, che essere un grande guerriero non è sufficiente, che il vero potere risiede nelle informazioni. Per questo impara ad attraversare non visto i corridoi dei palazzi imperiali, dove viene a conoscenza di trame, intrighi e congiure, ordite da uomini assetati di potere e da donne crudeli e disinibite. Sotto il sorriso maligno del vecchio Tiberio, che pare avere stretto un patto con gli dèi, tanto si mantiene lucido, energico e spietato anche in vecchiaia. Così il piccolo Caligola intraprende il percorso che lo porterà a sedere sul trono dell'Urbe. Un percorso lungo, pieno di ostacoli, in cui la tentazione della vendetta deve essere sempre temperata da prudenza e astuzia. Un percorso che farà sì che sarà lui, non suo padre, non i suoi fratelli, il nuovo imperatore di Roma. Restituendo gli intrighi, le alleanze sempre pronte a mutarsi in tradimento, la lussuria e l'avidità della Roma imperiale, che nelle pagine di “Caligola - Impero e follia” non ha nulla da invidiare alle capitali delle "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco" di George R.R. Martin, Franco Forte scrive un romanzo straordinario, che reinventa, con taglio originale e moderno, il mito dell'imperatore più odiato della storia. Dando voce, per una volta, alla sua versione. L’autore:
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Caligola non ha ancora cinque anni <<Guarda questa terra, Gaio. Vedi come è grassa e rigogliosa, sotto lo strato di foglie? Sai perché è così, anche se in questa foresta il sole non attraversa quasi mai le chiome degli alberi?>> Il bambino sollevò il naso verso l’alto e osservò l’intrico vegetale che li sovrastava, così fitto da stendere un manto d’ombra perenne sul vasto sottobosco, rendendolo ancora più cupo e spaventoso di quanto già non fosse. C’era uno strano odore, nell’aria, che Gaio Cesare Germanico non riusciva a identificare, ma che era sicuro avesse a che fare con le domande che gli erano state rivolte dal padre.
Restò a pensarci per un po’, in realtà distratto più dai suoni dei misteriosi animali che popolavano la foresta e dal fragore dei legionari in marcia, che concentrato sulla corretta risposta da fornire a Germanico, poi si strinse nelle spalle ossute.<<No>> confessò. <<Non lo so.>>
Il padre lo fissò con una strana espressione, che Gaio gli aveva visto solo quando era molto preoccupato o, peggio, quando era pronto a sgridarlo per qualcosa che aveva fatto, magari disobbedendo a un ordine diretto, ma poi aprì un mezzo sorriso, addolcendo il viso spigoloso, dai tratti forti e decisi, che riusciva a intimorire chiunque fosse costretto ad affrontarlo.
Tranne la mamma, pensò Gaio. Agrippina era la sola che sapesse mettere in difficoltà il grande Germanico, comandante delle legioni romane sul Reno, temuto dai suoi nemici e amato dai legionari, che avrebbero dato la vita, per lui.
<<E’ importante che tu lo sappia>> continuò il padre posandogli una mano sulla testa e sfregandogli i capelli. <<Se vuoi diventare un guerriero forte e rispettato dai compagni, un valido generale capace di guidare gli uomini in combattimento, allora devi conoscere le ferite che ancora sanguinano sul corpo di Roma.>>
Gaio sgranò gli occhi, sorpreso. Non aveva creduto che si trattasse di una cosa così importante. Tornò a guardarsi attorno, aguzzando gli occhi nella penombra del sottobosco, ma non vide nulla e si maledisse per la propria stupidità. Indispettito, diede un colpo sul terreno con una delle caligae che calzava fin dal giorno in cui sua madre, per gioco, gliele aveva fatte indossare, anche se quelle calzature erano enormi e lo impacciavano nei movimenti, poi sollevò uno sguardo mesto sul padre.
Ma Germanico non lo stava guardando. Si era eretto in tutta la sua statura, e la sua figura imponente era rivolta verso nord, là dove la foresta di Teutoburgo si faceva più fitta e impenetrabile. Dietro di loro le legioni al comando di suo padre marciavano a ranghi serrati, e il terreno vibrava sotto i piedi di Gaio, trasmettendogli quel senso di forza e di sicurezza che lo aveva accompagnato fin dalla nascita, durante i viaggi con i genitori in quelle terre barbariche.
<<Se affondi le mani nel terreno vedrai che è molto scuro, e che i vermi brulicano, cibandosi del sangue di cui è impregnato.>>
Germanico aveva parlato a voce bassa, ma lui era riuscito a sentirlo benissimo. Eccitato come non mai si piegò verso il basso, e senza avere il coraggio di toccare lo strato di foglie che formava un mantello perenne sulla selvaggia terra di Germania, cercò di riconoscere il sangue di cui aveva parlato suo padre.
<<Se lo annusi, se lo assaggi, capirai che si tratta di sangue romano>> continuò Germanico con voce grave, mentre i legionari sfilavano dietro di loro, accompagnati solo dal pulsare ritmico delle caligae sul terreno. <<Qui sono morti migliaia di soldati, massacrati dai barbari guidati da Arminio. Tre intere legioni, comprese sei coorti di fanteria e tre ali di cavalleria ausiliaria, sono state annientate in questa foresta. In soli tre giorni sono morti più di quindicimila legionari, compreso il loro comandante, il valoroso Publio Quintilio Varo.>> Fece una breve pausa, durante la quale Gaio cercò di immaginare come dovessero apparire quindicimila soldati massacrati e ammassati sul terreno, poi continuò, voltando lo sguardo su di lui: <<Ci furono dei superstiti, naturalmente, ma vennero quasi tutti sacrificati alle divinità delle tribù barbare che ci avevano sconfitto.>>
Gaio si sentì inondare dalla rabbia e dall’indignazione.
<<Tu li hai vendicati, vero padre?>>
Germanico esitò un istante, prima di rispondere, poi gli scompigliò ancora i capelli, con una mossa forse fin troppo rude, che quasi lo fece cadere a terra.
<<Sono tornato qui qualche anno fa, grazie alle indicazioni dei pochi superstiti al massacro, e abbiamo recuperato ciò che restava dei nostri uomini.>> Fece un sospiro, e tornò a guardare nell’intrico della vegetazione. <<Non hai idea di quello che abbiamo trovato. Ovunque c’erano mucchi di ossa, spolpate dagli animali della foresta, e sui tronchi degli alberi erano state inchiodate le teste di centinaia di legionari, che ormai giacevano come teschi scarnificati. E poi… poi c’erano gli altari.>>
Si interruppe, e Gaio trattenne il fiato. Anziché chiedergli di continuare, sentendo che non sarebbe riuscito a parlare, gli afferrò un lembo della veste e tirò un paio di volte.
Germanico parve riscuotersi, lo guardò accigliato, sembrò esitare ancora, ma poi continuò: <<Avevano eretto dei rozzi altari di pietra e legna, su cui avevano sacrificato ai loro dei i nostri tribuni e tutti i centurioni su cui erano riusciti a mettere le mani. Un monito per le legioni di Roma e per i loro comandanti.>>
Gaio esalò il respiro che aveva trattenuto fino a quel momento e strinse i pugni.<<Dobbiamo vendicarli!>> gridò.
<<Tu non farai proprio niente>> intervenne una voce alle loro spalle, e Gaio sussultò per la sorpresa. Si voltò e corse incontro alla madre, che era scesa dalla portantina e si era avvicinata a passo felpato, tanto che lui non l’aveva nemmeno sentita. O forse era stato così preso dal racconto del padre che non si sarebbe accorto nemmeno se lei l’avesse preso fra le braccia e sbaciucchiato sul collo, come faceva fin troppo spesso, per i suoi gusti.
<<Qui c’è il sangue dei legionari, quelli da vendicare, tutti!>> esclamò rischiando di inciampare nelle caligae. Agrippina lo afferrò al volo prima che finisse con la faccia tra le foglie umide del sottobosco. E impregnate di sangue!
<<Tuo padre è qui per questo, e stai sicuro che sa fare bene il suo lavoro>> lo tranquillizzò lei, sollevandolo in braccio e fissando Germanico con una strana smorfia.
<<Era giusto che sapesse>> si limitò a dire il padre, reggendo lo sguardo di Agrippina.
Lei non rispose nulla, finché la sua espressione si addolcì e le sue labbra scesero verso il collo lungo ed esile di Gaio.
<<Basta baci!>> protestò lui allontanandola e guardandosi attorno per capire se qualche soldato li avesse visti. Si vergognava di quelle effusioni da parte della madre, che lo facevano sembrare ridicolo di fronte ai legionari.
<<Indossi ancora questi calzari?>> gli chiese lei osservando le enormi caligae che aveva ai piedi. <<Non rischi di inciampare?>>
<<No!>> ribatté lui dibattendosi finché Agrippina non lo rimise a terra. <<Io sono un soldato! Come papà!>>
Restò a fronteggiare i genitori pronto a dare battaglia, mentre l’odore del sangue dei legionari che erano caduti in quella foresta gli riempiva le narici, adesso sì forte e ben percepibile.
Agrippina e Germanico si scambiarono un’occhiata, poi scoppiarono a ridere, e Gaio si sentì arrossire fino alla radice dei capelli.
Avrebbe preferito di gran lunga una schermaglia, che avrebbe affrontato da vero legionario, pronto a versare il proprio sangue insieme a quello dei quindicimila che erano stati massacrati nella selva di Teutoburgo, piuttosto che sentirsi ridicolizzato in quel modo.
Colmo di rabbia e di vergogna scappò via, barcollando sulle caligae troppo grandi e deciso a nascondersi per sempre nel fitto della foresta, dove avrebbe dato la caccia ai barbari di Arminio uccidendoli a uno a uno, fino a quando vendetta non fosse compiuta. Una curiosità: L'immagine sotto riportata ritrae Caligola da giovane e Jeoffrey de Il trono di spade. Non notate una certa somiglianza?