Irish Independent
- Copertina Originale -
Titolo: Ti Amo, ti odio, mi manchi − Regole per una vita perfetta
Autore: Niamh Greene
Edito da: Newton Compton
Prezzo: 9.90 €
Uscita: 1 marzo 2012
Genere: Narrativa
Pagine:336 p.
Trama:
Vivere una vita felice non è complicato. Basta seguire delle regole precise. Per esempio: mai mollare un uomo solo perché ha mangiato l’ultimo orsetto gommoso della confezione. Mai trasferirsi in un rudere fatiscente per “ritrovare se stessi”: si rischia solo di diventare lo zimbello degli abitanti e di coprirsi di ridicolo davanti a tutti. E soprattutto, non innamorasi di un uomo che ha due figlie, un attaccamento morboso alla defunta moglie – una donna perfetta che nessuna compagna potrà mai rimpiazzare – e una madre che ti tratta come se fossi la domestica pensando che la tua unica funzione sia quella di pulire e tenere in ordine la casa. Maggie passa da una disavventura all’altra, perde il lavoro a Dublino, rinuncia alle sue Jimmy Choo per calzare orribili stivali da lavoro e si rifugia nella sonnolenta cittadina di Glacken. Ma Maggie è testarda, non si arrende ed è anzi pronta a tutto pur di conquistare la gioia e la serenità che merita. Una vita perfetta e un amore da sogno sono lì ad aspettarla.
L’INCIPIT:
Alla fine fu quell’orsetto gommoso giallo a convincermi. Certo, le cose con Robert non andavano da parecchio ormai, da più tempo di quanto avessi osato ammettere con chiunque, ma alla fine fu un’innocua caramellina gommosa a rendere tutto più chiaro nella mia mente. Per mesi avevo cercato di convincermi che tra noi fosse tutto a posto. Ogni coppia attraversa periodi bui, è per- fettamente normale, specie quando si sta insieme da tan- to. (…) E così avevo passato un’infinità di notti ad ascoltare il fa- stidioso inspirare ed espirare di Robert, e a interrogarmi sul da farsi. Innanzitutto avevo cercato con tutta me stessa di ignorare le mie emozioni e di tirare avanti, timbrando ogni giorno il cartellino all’agenzia immobiliare Hanly & Company, nella speranza che le cose cambiassero. Dopo- tutto, il mondo intero era in preda all’incertezza e all’in- stabilità per via della crisi economica globale. Non ero di certo l’unica con dei problemi. Anche Robert – è architetto – era nella stessa situazione, mi dicevo. Passava quasi ogni serata a leggere statistiche sulla disoccupazione e a bor- bottare fra sé che tutti avevano la testa sul ceppo e non era rimasta alcuna speranza. Ne saremmo usciti, però, lo sapevo. Per forza: eravamo stati fidanzatini dai tempi dell’infanzia e si sa che chi sta insieme fin dall’infanzia non si lascerà mai, è una regola. Il solo pensiero mi faceva star male in modi che non avevo mai creduto possibili. Non potevo – non volevo – neanche pensare a una separazione. Questa stranezza doveva essere una fase, una cosa che avremmo superato. Si doveva resiste- re e discuterne dopo, molto tempo dopo, quando saremmo stati di nuovo follemente innamorati e in grado di ammette- re l’uno con l’altra che avevamo attraversato un periodo di stanca. Probabilmente ne avremmo riso quando saremmo stati una vecchia coppia sposata. Perché a rigor di logica era quello il passo successivo: il matrimonio. Era ciò che tutti si aspettavano – un grandioso matrimonio in bianco. Era quello che facevano due persone innamorate. Non ci pensavano nemmeno, a lasciarsi, se erano perfette l’una per l’altra. Ma la verità era che cominciavo a pensare di non ama- re più Robert. Come avrei potuto quando quasi tutto ciò che faceva mi irritava… dal modo in cui si svegliava (sgana- sciandosi di sbadigli finché le mascelle non scricchiolavano rumorosamente, per poi tirar su col naso, con quelle narici perfettamente depilate con le pinzette) al modo in cui si ad- dormentava, con il respiro che si faceva via via più pesante a ogni piccolo sbuffo? Spesso sentivo il desiderio di afferrare il cuscino e premerlo con forza su quella bocca che conti- nuava a sbavare, solo per ridurlo finalmente al silenzio. Ave- vo persino iniziato a compilare una lista dei motivi per cui avrei dovuto lasciarlo: non potevo sopportare di vedere in bagno ogni mattina il suo spazzolino accanto al mio; odiavo il modo in cui versava attentamente il latte sui cornflakes; pensavo di ficcargli in gola l’«Irish Times» se avesse borbot- tato ancora una volta le parole “crisi economica”. Avevo infilato la lista in fondo alla mia migliore borsa di Prada e avevo continuato ad aggiornarla, di tanto in tan- to, per mesi. Ma non feci mai nulla basandomi su questo, perché dopotutto nemmeno io ero perfetta. E comunque si trattava di un terribile sbaglio. Non c’era più slancio nella nostra relazione, e allora? Robert era sempre stato prudente per natura, non era di certo una scoperta recente per me. La sua idea di una serata eccitante era guardare tre episodi di fila di Grand Designs. Non era il tipo da partire su due piedi per folli avventure… niente bungee jumping o safari in Africa per lui. No, era stabile, affidabile e tremendamen- te prevedibile, e la cosa mi era sempre andata bene. Finché non eravamo arrivati al punto in cui tutto ciò che faceva e diceva aveva cominciato a indispormi o irritarmi al di là di ogni immaginazione. Mi odiavo per questo. Robert era un brav’uomo, una brava persona. Non era colpa sua. Ma con il passare del tempo trovavo sempre più difficile continuare a fingere che tra noi andasse tutto bene. 10Come spesso succede, la goccia fece traboccare il vaso un tranquillo giovedì sera. Eravamo seduti ciascuno a un’estre- mità del divano: io stavo facendo zapping e lui stava lavo- rando sul portatile a un qualche progetto complicato. In preda alla delusione più totale per il lavoro, per il clima economico sconfortante e per il fatto che i miei capelli non sarebbero mai stati lucenti come quelli di Cheryl Cole, sulla via di casa avevo comprato una confezione gigante di orsetti gommosi e stavo allegramente masticando, intenzionata a finire l’intero pacchetto. Non mi sentivo neanche partico- larmente in colpa perché, come tutti sanno, gli orsetti gom- mosi sono privi di grassi e quindi praticamente salutari. La prima volta che Robert si era allungato per prenderne uno senza chiedere il permesso, mi ero morsicata un labbro per non dire nulla. Dopotutto eravamo una coppia… una coppia che stava insieme da molti anni, non due partner occasionali; la condivisione era una cosa scontata tra noi. Anzi, sapevo che nel profondo del cuore avrei dovuto desi- derare intensamente di dividerli con Robert. Avrei dovuto fare l’impossibile per imboccarlo con gli orsetti. Rimpinzar- lo allegramente, ecco cosa avrei dovuto fare, invece me ne stavo lì a stringere il sacchetto, marcando il territorio con la ferocia di una bambina di due anni. Masticavo con cupa determinazione: non avrei ceduto nemmeno un orsetto sen- za una lunga ed estenuante battaglia, e se necessario sarei ricorsa anche ai capricci. Robert, naturalmente, non sapeva quanto fossi seccata… il che, nella mia furia irrazionale, non mi sorprendeva nean- che un po’: perlopiù sembrava all’oscuro di tutti i suoi di- fetti. Per esempio, non riuscivo a capire come facesse a non rendersi conto che usare il filo interdentale diverse volte al giorno era un’abitudine bizzarra e sgradevole, ma a lui sem- brava perfettamente ragionevole usare un filo aromatizzato alla menta sulla propria persona, persino in pubblico, e si dedicava a quest’attività incurante di chiunque gli passasse davanti. Non c’era da meravigliarsi che non vedesse nulla di male nel continuare a infilare liberamente la mano dentro al sacchetto che tenevo in grembo senza nemmeno un “pos- so?”, proprio come aveva sempre fatto. La mia collera ave- va raggiunto il punto di ebollizione quando lui era arrivato alla quarta pescata, e quando si infilò in bocca quell’orsetto giallo, qualcosa dentro di me scattò. D’un tratto tutto fu chiaro. Seppi con estrema certezza che non avrei più potuto rimanere con lui. Perché, se non me ne fossi andata, avrei passato i vent’anni successivi a pentirme- ne. Avrei persino finito per pensare all’omicidio – come at- trice non ero nemmeno lontanamente paragonabile a The- resa – e non sarei mai sopravvissuta in una di quelle prigioni femminili. Avevo visto Bad Girls in tv, sapevo cosa sarebbe successo: qualche maschiona, con i capelli ossigenati grazie al gel per il gabinetto, avrebbe insistito per farmi da protet- trice e se non avessi accettato avrebbe finito per strapparmi le unghie una per una. In galera non sarei durata nemmeno cinque minuti. In quel momento, mentre Robert masticava ignaro di tutto, con le labbra umidicce che schioccavano rumorosamente, presi la mia decisione una volta per tutte: lo avrei lasciato. Quell’orsetto gommoso giallo aveva messo fine alla nostra relazione e non c’era modo di tornare indietro.
Niamh Greene, irlandese, è autrice di numerosi besteller. La Newton Compton ha già pubblicato i suoi romanzi Diario segreto di una casalinga disperata e Uomini: l’importante è farli soffrire.
Sito dell’autrice: www.niamhgreene.com
Blog dell’autrice: www.niamhgreene.blogspot.com